La Francia da anni si trova a fare i conti con una complicata crisi delle vocazioni, che sta causando una rigida diminuzione dei preti e costringendo la Diocesi francese ad ‘assumere’ i sacerdoti stranieri, tramite l’ufficio del Fidei donum. Una situazione, tuttavia, che appare piuttosto precaria, perché mentre ormai il numero di sacerdoti stranieri è quasi la metà di quello dei locali, si accentua il problema della difficile integrazione, da entrambe le parti.
Il ricorso al Fidei donum nel corso degli anni in Francia è aumentato quasi proporzionalmente alla diminuzione del numero di francesi che decidono di diventare preti, sacerdoti o vescovi. Negli ultimi 60 anni, il numero dei preti è diminuito quasi del 400%, passando da 41mila sacerdoti registrati nel 1960, ad appena poco più di 10mila nel 2020, a fronte di 10.326 parrocchie. Insomma, la proporzione preti/chiese in Francia è praticamente di 1 ad 1, con l’effetto che non si possono prevedere periodi di malattia o di indisposizione pressoché per nessuno di loro. Inoltre, solamente 88 uomini hanno deciso di prendere i voti sacerdotali nel 2023, anche qui con una rigidissima diminuzione rispetto ai circa 1.000 del 1950.
I problemi di integrazione dei preti stranieri in Francia
La crisi sei preti in Francia, insomma, è un fatto conclamato, ma anche attenuato dall’ufficio del Fidei donum che attualmente permette ad un numero compreso tra 2mila e 3mila sacerdoti stranieri, all’80% africani, di officiare sul territorio francese. Un numero anche in questo caso in calo, con 2.768 visti religiosi rilasciati nel 2022 rispetto ai 3.798 del 2018, ascrivibile tuttavia al fatto che i sacerdoti stranieri possono rimanere in Francia per periodi variabili, fino ad un massimo tendenzialmente fissato a 7 anni consecutivi.
Ma se da un lato i sacerdoti stranieri sono una soluzione alla crisi dei preti in Francia, non sempre è facile accoglierli in comunità così distanti dalle loro. “A volte”, spiega Corinne Valasik (sociologa dell’Institut Catholique de Paris) a Le Figaro, “il loro cattolicesimo non corrisponde a quello a cui sono abituati i francesi. Non avrebbero mai immaginato”, spiega, “di ricevere poche visite in presbiterio”, oppure possono avere posizioni dottrinali diverse da quelle francesi, così come il sermone dei preti africani “dura anche quaranta minuti” rispetto ai “sette minuti in Francia”. Dal conto dei sacerdoti stranieri, invece, “a volte si sentono percepiti come migranti da una parte della popolazione. Scoprono una grande autonomia, ma possono avere l’impressione di essere considerati inferiori“.