Le prossime elezioni francesi possono aprire diversi fronti dentro l’Europa; alcuni di questi, le politiche fiscali e quelle migratorie, sono da giorni al centro del dibattito, ma c’è almeno un altro fronte che merita di essere citato. Il responsabile del programma economico ed energetico del partito di Marine Le Pen, Jean-Philippe Tanguy, ha dichiarato di volere “fermare le politiche green punitive”. Il programma del “Rassemblement National” prevede la costruzione di centrali nucleari. la promozione dell’idrogeno e la riduzione dell’Iva su benzina, gas naturale ed elettricità finanziando parzialmente l’intervento con sussidi più bassi alle rinnovabili. Tanguy considera anche la possibilità di rimuovere alcune turbine esistenti per il loro impatto estetico sulle località turistiche. Il partito di Marine Le Pen, infine, si è espresso contro l’importazione di pannelli solari cinesi da cui oggi dipende l’intera industria solare europea.
Marine Le Pen sembra quindi aver deciso che la Francia non si può permettere le rinnovabili perché deve restituire potere d’acquisto ai francesi e perché in un’ottica di competizione globale il prezzo dell’elettricità è decisivo. Il problema di far quadrare i conti rispetto alle richieste di rientro di deficit dell’Europa e la possibilità di una crisi del debito è fondamentale per la sopravvivenza politica di qualunque compagine politica si troverà a governare in Europa nei prossimi anni. Aprire una guerra con Bruxelles sulle politiche fiscali è un salto nel buio. La priorità diventa, quindi, recuperare margini di manovra economica e fiscale dove fa meno male a famiglie e imprese.
La politiche energetiche europee sono un “unicum” nel panorama globale. I Paesi in via di sviluppo semplicemente non si possono permettere “la rivoluzione green” e gli Stati Uniti hanno come priorità la reindustrializzazione e la spesa sociale. L’Europa è in qualche modo vittima delle forniture economiche di gas russo che rendevano possibile “sprecare”. I sistemi vincenti in Europa sono quello francese, grazie al nucleare, e quello spagnolo, grazie al nucleare e una geografia particolarmente favorevole alle rinnovabili. La Germania non è un modello vincente nonostante investimenti in rinnovabili colossali rispetto a qualsiasi altro Paese europeo. Il sud Italia potrebbe replicare il modello spagnolo se avesse un po’ di nucleare; l’Italia del nord, invece, per funzionare senza idrocarburi, ha come modello la Francia. La condizione necessaria per avere prezzi dell’elettricità bassi senza o con poco gas è il nucleare; altrimenti trovare forniture economiche di idrocarburi è ancora la scelta più conveniente. Le rinnovabili funzionano, lo dimostra la Spagna, solo se si appoggiano a una base nucleare.
Dentro l’Europa c’è lo spread dei debiti pubblici e quello dei sistemi energetici. Questo secondo spread si può allargare a seconda delle scelte di politica energetica che i singoli Paesi assumono: esattamente come lo spread dei debiti anche quello energetico apre incomprensioni tra i singoli paesi membri e il centro.
Non sappiamo come finiranno le elezioni politiche francesi, ma in caso di vittoria del “Rassemblement National” il problema di Marine Le Pen sarà quello di tenere insieme le richieste degli elettori e quelle dei mercati. Tutto suggerisce che gli investitori saranno molto più inflessibili sui decimi di deficit rispetto alle politiche energetiche non fosse altro che per quello che da qualche mese accade negli Stati Uniti dove la “grande finanza” si è improvvisamente riscoperta molto più pragmatica sulla transizione. Questo cambio di paradigma è un fattore per tutti, non solo per la destra francese. Altri partiti in Europa, a prescindere dalla famiglia politica, stretti tra i mercati, i piani di rientro dei deficit e le attese degli elettori potrebbero seguire lo stesso esempio.
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