Dopo tre mesi si è conclusa l’esperienza del Governo Barnier, che non è riuscito a superare indenne la mozione di sfiducia votata dal Rassemblement National e dal Nouveau Front Populaire. Secondo Gustavo Piga, professore di economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, il vero oggetto della sfiducia non era tanto il Primo ministro, quanto “la proposta di una manovra finanziaria con aumenti di tasse e tagli di spesa per 60 miliardi di euro in un momento così drammatico per le economie occidentali. Un momento in cui, anche a fronte dell’arrivo di Trump e del suo protezionismo che ridurrà l’export, è più che mai necessaria la domanda interna”.
Ha fatto anche un certo effetto vedere destra e sinistra votare insieme questa sfiducia.
Questa “alleanza rosso-bruna” è semplicemente plastica nella sua capacità di spiegare che cos’è che genera i grandi sommovimenti politici: è l’economia. Credo da Parigi sia arrivata la conferma che è l’austerità a generare polarizzazione: dovremmo averlo imparato dagli anni Trenta del secolo scorso ed è incredibile come in un certo senso la storia si ripeta. Vedremo cosa succederà in Francia, se Macron riuscirà effettivamente a concludere il suo mandato nel 2027, e cosa accadrà in Germania, dove i movimenti estremi potrebbero ottenere un importante risultato alle elezioni di inizio 2025.
Lei cosa pensa che accadrà ora in Francia?
Nessuno ha la sfera di cristallo. Certamente non si può criticare Marine Le Pen che forse qualcuno pensava di poter “normalizzare” come accaduto in Italia a Giorgia Meloni: lei ha deciso di chiamarsi fuori, di non legare il suo nome all’austerità, anche perché sa di poter guadagnare consensi. Ci sono non pochi timori su quello che accadrà allo spread francese, ma se l’Europa non modifica la sua stance austera sarà inevitabile cominciare a dover considerare in tutti gli spread di tutti gli Stati membri il rischio di un evento a cascata che mette a rischio la tenuta dell’Europa. La quale oltretutto deve fare i conti con una crisi dell’economia tedesca di enormi proporzioni. Tutto questo ci ricorda in un certo senso l’incredibile follia del Governo italiano nell’approvare la riforma del Patto di stabilità quando aveva la possibilità di porre il veto.
Secondo lei, sarebbe stato possibile bloccare la riforma del Patto di stabilità?
Avessimo avuto la pazienza e la forza politica di aspettare qualche mese, oggi l’Italia si ritroverebbe a essere l’unico grande Paese dell’Ue in grado di dettare l’agenda della futura politica fiscale dell’Unione, visto che Francia e Germania sono fondamentalmente fuori dai giochi. Anche tenuto conto dell’amicizia tra il nostro Primo ministro e il Presidente eletto degli Stati Uniti saremmo potuti essere capaci di orientare l’Europa verso sponde più consone alle enormi sfide che ci aspettano e che Usa e Cina sanno come affrontare.
In che senso?
Se guardiamo l’Economic Outlook dell’Ocse pubblicato mercoledì possiamo notare che dal 2020 al 2024 la Cina cresce circa del 25%, gli Stati Uniti del 10%, mentre l’Eurozona del 3,8%. Questa differenza si spiega con l’utilizzo di una politica fiscale espansiva, e non restrittiva, per evitare il burrone della crisi. Tra l’altro in Europa va segnalata “l’anomalia” spagnola.
Fino a pochi mesi fa si parlava di un’anomalia italiana…
È vero che tra il 2020 e il 2024 l’Italia cresce più della media dell’Eurozona (5,9% contro 3,8%), in particolare nel 2022 grazie a una politica fiscale espansiva, pur non pienamente condivisibile, come il Superbonus 110%, che ha permesso anche l’abbassamento del rapporto debito/Pil. Tuttavia, la Spagna nello stesso quinquennio cresce del 6,6% e si prevede crescerà nei prossimi due anni più del 2%, con un contemporaneo abbassamento dei rapporti deficit/Pil e debito/Pil. Tutto questo grazie ai consumi pubblici.
Ha qualche numero in merito?
È l’Ocse stessa a segnalare che mentre in Italia i consumi pubblici in termini reali sono cresciuti dell’1,9% nel 2023 e sono previsti al +0,9% quest’anno e al +2% il prossimo, in Spagna si attestano rispettivamente al +5,2%, al +4,6% e al +2,8%. È evidente che in un momento di così grande difficoltà complessiva il settore privato non è in grado di sostenere da solo l’economia e diventa cruciale il contributo del settore pubblico.
Cosa pensa della previsione dell’Ocse sulla crescita italiana di quest’anno, pari al +0,5%?
L’Ocse mostra in maniera abbastanza chiara il disastro dell’economia italiana, che crescerà quest’anno dello 0,5% anziché dell’1%, nonostante il Pnrr, a proposito del quale pochi giorni fa un paper della Bce ha evidenziato che abbiamo pubblicato gare per 56 miliardi su 120 complessivi. Il nostro Paese sta mostrando scarsissima capacità di programmazione e di esecuzione dei lavori, dovuta alla mancanza della riforma delle stazioni appaltanti e delle necessarie competenze tecniche negli attuali organici. Tra l’altro, sempre secondo l’Ocse, l’Italia e la Germania sono i Paesi in cui la crescita dei prezzi dei beni alimentari ed energetici è di molto superiore a quella dei redditi nominali. Questo significa che le famiglie stanno continuando a perdere potere d’acquisto e c’è il rischio che aumentino le disuguaglianze.
Lei sostiene la necessità di politiche fiscali espansive, eppure l’Ocse raccomanda il consolidamento fiscale per tenere sotto contro i conti pubblici.
Fronteggiare questo momento di grande difficoltà del settore industriale, in primis dell’automotive, e le sfide ambientali, energetiche, belliche e protezionistiche, senza lo scudo protettivo della politica fiscale espansiva significa veramente giocare col fuoco. L’Ocse è un ente politico, molto controllato dai Governi, tant’è che questo richiamo al consolidamento fiscale non viene rivolto agli Stati Uniti, per i quali genericamente si indica la necessità di rivedere l’attuale politica fiscale espansiva nel medio termine.
L’Ocse parla anche della necessità di riforme per stimolare la crescita. Cosa ne pensa?
Le riforme sono importanti, ma dispiegano i loro effetti nel medio termine. È molto più efficace e rapida la politica fiscale espansiva realizzata non direttamente da Bruxelles, dove c’è troppa opposizione politica a un debito comune, ma dai singoli Stati membri, come di fatto avviene in Spagna, possibilmente con una golden rule sugli investimenti pubblici. Occorre che l’Ue metta al centro la crescita, tramite la quale si ottiene una riduzione del debito/Pil.
L’Europa cambierà linea sulla politica fiscale se la Francia non si adeguerà all’austerità?
Secondo me cambierà linea se l’Italia prenderà in mano la situazione. È evidente che il nostro Paese può giocare un ruolo importantissimo vista la sua vicinanza agli Stati Uniti e considerando il fatto che la riforma del Patto di stabilità non è compatibile con il Dna di gran parte della maggioranza di Governo. Certo, bisogna essere veri e non finti leader, occorre un ministro delle Finanze coraggioso che spieghi che quelle che vengono richieste non sono le politiche giuste per il Paese e che attui anche una vera spending review al posto di dannosi tagli lineari.
(Lorenzo Torrisi)
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