La sinistra non ha molte speranze di governo. Anche la minaccia di France Insoumise di destituire Macron, se non dovesse nominare Lucie Castets, indicata dalla gauche come possibile premier, lascia il tempo che trova. Lo scenario più probabile, in vista del quale ci si muove secondo le intenzioni del presidente francese e dell’ex primo ministro Attal, spiega Francesco De Remigis, giornalista per anni corrispondente da Parigi, è una sorta di grande coalizione con socialisti, centristi e neogollisti insieme. Ma anche per loro non è facile trovare un programma comune oltre che una guida. I nomi più gettonati sono quelli di Xavier Bertrand, ex ministro di Sarkozy, e Bernard Cazeneuve. E mentre il Rassemblement National, nonostante 11 milioni di voti, non ha incarichi nell’Assemblea Nazionale, la gente aspetta il nuovo governo. L’attesa è per i primi di settembre; se non succederà niente per allora, il clima politico potrebbe scaldarsi.



France Insoumise dice che se Lucie Castets non verrà nominata premier, chiederà la destituzione di Macron. Una boutade o uno scenario da prendere in considerazione?

Stando ai dati di realtà, il primo effetto dell’annuncio dell’estrema sinistra di Mélenchon, che ha chiesto la destituzione del presidente, è la nuova divisione del fronte popolare della gauche. I socialisti hanno preso subito le distanze dall’annuncio; poi anche i comunisti e infine gli ecologisti hanno assicurato di non avere niente a che fare con questa ipotesi, per cui servirebbe peraltro una maggioranza di due terzi in entrambe le camere, Assemblea Nazionale e Senato. Secondo i costituzionalisti, il meccanismo del ricorso all’articolo 68 della Costituzione sembra irrealizzabile nel contesto attuale.



E allora perché proporla, peraltro a mezzo stampa?

È un’operazione politica per non perdere il pallino della primazia conquistata alle urne dalla sinistra. Ma non ci sono i numeri. Con solo 193 deputati di sinistra nell’Assemblea, il passaggio di una proposta di impeachment è altamente improbabile, anche supponendo che i lepenisti e i loro 142 deputati sostengano la procedura, che non vede neppure la sinistra unita. Val la pena ricordare che è entrata in vigore solo nel 2007 ed è stata esplicitata da una legge nel 2014. Il testo prevede che “il Presidente della Repubblica può essere destituito solo in caso di inadempimento dei suoi doveri” per un comportamento manifestamente incompatibile con l’esercizio del suo mandato. Dal 2007 nessuna procedura analoga è mai andata a buon fine. Nel 2016, il partito neogollista Les Républicains avviò un procedimento contro il socialista François Hollande dopo la pubblicazione del libro Quel che un presidente non dovrebbe dire. Fu ritenuto inammissibile e non se ne fece nulla.



Quali sono i margini di manovra del presidente francese: è ancora lui che conduce le danze? E quale ruolo stanno avendo l’Assemblée Nationale e i rappresentanti dei partiti?

C’è un ritorno alla realtà dopo la tregua olimpica, ma è sempre la stessa: un Paese reduce da un voto voluto da Macron che non ha dato una maggioranza di alcun tipo. E una Francia che si avvia a iniziare le discussioni sulla manovra finanziaria con un governo dimissionario. Macron ha chiesto dunque ai partiti di prendere spunto dal gioco di squadra mostrato per l’organizzazione delle Olimpiadi, esortando socialisti, centristi e neogollisti in primis, a limare le divergenze e a lavorare a un programma comune che possa essere sostenuto da una maggioranza larga e portato avanti da una personalità terza o anche politica che possa guidare la Francia in questa fase. Per almeno un anno, non potrà sciogliere di nuovo l’Assemblea Nazionale.

Dunque, niente sinistra a Matignon?

Venerdì Macron riceverà all’Eliseo la delegazione dell’estrema sinistra che porta avanti il nome di Castets, peraltro nella bufera perché sarà ricevuta senza avere alcun incarico di partito e senza neppure essere stata eletta. Ma la France Insoumise è sola contro tutti. E mi pare un faccia a faccia pro forma. Poi, nel fine settimana, ci saranno consultazioni con gli altri partiti. Nessuna apertura a sinistra; credo che alla fine il presidente si orienterà su altre soluzioni per Matignon, indicando un nome fra i tre meno connotati che circolano: Valérie Pecresse, Xavier Bertrand, Bernard Cazeneuve.

Attal ha chiesto un governo di grande coalizione ma senza Mélenchon e Le Pen, in pratica i due schieramenti che hanno vinto le elezioni: i partiti che potrebbero fare parte di questa coalizione sono disponibili?

Il dialogo è in piedi. Ma tolta la sinistra estrema, Macron ha due varianti politiche di fronte, come due gusti di gelato che al momento non sembrano adatti a stare insieme sullo stesso cono. Attal sembra orientato a far convergere il partito del presidente e i suoi eletti su Cazeneuve, vista la comune matrice socialista. Ma pure i macroniani sono piuttosto divisi. Il ministro dell’Interno Darmanin, ala destra della Macronie, vedrebbe meglio il gollista Bertrand, già ministro di Sarkozy. Al momento lo stallo resta; Macron dovrà registrarlo e decidere, dopo le consultazioni, il da farsi.

Come si sta muovendo il Rassemblement National: è stato isolato dopo le elezioni o continua a mantenere l’iniziativa politica?

È stato isolato dai partiti in aula, rimanendo a bocca asciutta. Gli incarichi chiave in Assemblea li hanno ottenuti altri. E nonostante i suoi 11 milioni di voti non è riuscito a essere attrattivo, in Aula. Tanto che pure Macron ha dovuto riconoscere che i macroniani hanno commesso un errore a isolare il RN dagli incarichi. Certo, il presidente non vuole un governo che tenga dentro anche i lepenisti.

L’opinione pubblica come sta accogliendo questa fase di trattative: è disposta ancora ad aspettare o dà già segni di insofferenza?

Mi sembra ci sia una sorta di rassegnazione a una Francia che viaggia bene anche col pilota automatico. Discorso diverso fra i militanti. C’è chi si associa all’estrema sinistra e parla di colpo di mano dell’Eliseo. E chi attende speranzoso che l’esperimento di un governo di larghe intese possa riuscire. Credo che la pazienza scadrà se entro i primi di settembre dall’Eliseo non saranno trovate soluzioni.

(Paolo Rossetti)

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