Ci sono Governi che rendono il lavoro dell’opposizione pressoché inutile. Quello attualmente in carica, almeno stando ai primi 20 giorni di vita, pare coincidere perfettamente con questo profilo. Insomma, il Pd può affrontare con tutta calma la pratica del nuovo Segretario: avanti di questo passo, il Governo Meloni si azzopperà da solo. Tweet dopo tweet. Perché ci voleva impegno a non capire come la Francia ci attendesse al varco. Ci voleva tutta la presunzione di chi pensa che il mandato popolare, meglio se plebiscitario come nel caso di Fratelli d’Italia, sia sufficiente a garantire una sorta di immunità dagli attacchi esterni. Quella messa in guardia del Governo transalpino rispetto alla vigilanza sui diritti era più di una provocazione impastata di sgradevole grandeur, era la classica provocazione per cominciare la rissa. La ricerca del primo pugno sferrato che apre le danze e garantisce il liberi tutti. E l’escalation.



E se nel caso della ministra francese un po’ troppo zelante, il Quirinale era intervenuto immediatamente e con risolutezza, questa volta il silenzio del Colle di fronte al prodromo di una crisi diplomatica con tutti i crismi fa riflettere. Non fosse altro perché non più tardi di un anno fa quel palazzo era stato cornice del Patto bilaterale fra i due Paesi, un’accelerazione nel cementare l’alleanza post-Merkel voluta proprio da Sergio Mattarella in vista delle sfide europee più dure. La realtà però è testarda. E se Parigi non accetterà mai per presunzione di guardare all’Italia come partner paritario, incapace com’è di superare lo steccato di superiorità politica dell’asse renano, ecco che prima l’uscita dei Cinque Stelle in visita di cortesia ai Gilet gialli e poi il tifo dichiarato di Lega e Fratelli d’Italia per Marine Le Pen nella corsa all’Eliseo non hanno ottenuto altro che divaricare ulteriormente il fossato. Il Patto del Quirinale doveva operare da proverbiale pietra che seppellisce il passato. Così non è stato.



E se la Francia ha richiamato l’ambasciatore all’epoca della trasferta in terra straniera di quello che poi divenne ministro degli Esteri, oggi c’è da aspettarsi di peggio. E in maniera meno rituale. Perché lo strappo dell’accordo sui ricollocamenti non è stato deciso da Parigi per ragioni di reale impatto sui numeri, più che esigui e rasentanti il ridicolo. È stato studiato a tavolino come salto di qualità dello scontro, poiché rischia di mettere a nudo e rendere palese la lettera scarlatta stampata sul petto dell’esecutivo di centrodestra. Chiedere infatti agli altri partner europei, citando apertamente la Germania come capofila, di seguire l’esempio e fare carta straccia degli accordi sui migranti da ricollocare, equivale a lasciare Roma isolata in compagnia soltanto dei suoi alleati storici. Ovvero, quei paesi di Visegrad che rappresentano il fronte più duro e isolazionista in fatto di immigrazione. Come dire, chi di sovranismo identitario ferisce, poi ne perisce.



E l’ingenuità con cui l’Italia è caduta nella rete francese è stata testimoniata dalla totale e incomprensibile esclusione del ministero degli Esteri dalla vicenda, almeno fino allo showdown di giovedì: tutto si è basato sull’asse fra palazzo Chigi, Difesa e Viminale. Diplomazia zero, solo muscoli. Il tutto dopo che la stessa Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron si erano incontrati a Roma in occasione della visita del Presidente francese per partecipare all’iniziativa di pace della Santa Sede. Incontro reso possibile e fortemente voluto proprio dal presidente della Repubblica italiano per cercare di instradare i rapporti fra i due Paesi: il Quirinale ha dimostrato lungimiranza politica, dopo quella minaccia/promessa di vigilanza, palazzo Chigi invece ha voluto solo flettere i bicipiti in favore di telecamere per uso di propaganda politica interna. Risultato? Uno strappo che rischiamo di pagare caro.

Quel tweet del ministro Salvini, quasi irridente rispetto all’aria cambiata che ora vedrebbe Parigi come meta finale del viaggio degli invasori, è suonato alle orecchie dell’Eliseo come un assist all’opposizione interna di Marine Le Pen. Il tutto in un periodo di forti tensioni legate all’inflazione e al caro-energia, finora limitate a manifestazioni nei fine settimana ma potenzialmente pronte a tramutarsi in altro, quando l’inverno imporrà le vere restrizioni e i veri impatti sulla tenuta dell’economia. Et voilà, l’escalation degli ultimi giorni è servita. Altro che reazione scomposta e proporzionata. E non a caso, i rumors politici di fine giornata parlavano di una Giorgia Meloni decisamente preoccupata per l’evolversi della crisi: Ci vogliono isolare. Peccato che un Primo ministro avrebbe dovuto capirlo prima, attivando la Farnesina e un uomo di diplomazia come Antonio Tajani non solo per liberare la blogger imprigionata in Iran. Ma anche per evitare che Difesa e Interni si muovessero come elefanti in cristalleria, loro tratto distintivo.

Ma il più preoccupato di tutti è Giancarlo Giorgetti, il quale ha visto completamente vanificata tutta la sua moral suasion nei confronti delle autorità europee in un solo pomeriggio. Perché la Francia è l’unico membro Ue sufficientemente forte da poter alzare la voce in favore di un ammorbidimento nella revisione del Patto di stabilità, ovvero la madre di tutte le battaglia per l’Italia. Ora, solo pensare a un asse Roma-Parigi fa sorridere. Soprattutto dopo quell’appello francese alla Germania affinché stracci anch’essa l’accordo sui ricollocamenti. Ma sono tanti, troppi e delicatissimi i dossier bilaterali aperti in campo economico-finanziario. In primis, Monte dei Paschi, la quale non solo vede Axa come socio principale (dopo il Tesoro, ovviamente) dopo l’aumento di capitale, ma che ha dato vita all’operazione sul capitale proprio per pagarsi gli esuberi e presentare al cavaliere bianco d’Oltralpe (e di turno) un bilancio con numeri a cui non si possa dire di no.

E se in questi giorni di tensione e Def, lo spread resta inchiodato a un livello di assoluta tranquillità lo si deve solo al fatto che un’altra francese dal suo ufficio di Francoforte stia continuando a vendere Bund e comprare Btp. Altrimenti, boom. E tutti lo sanno. Come tutti sanno che al centro della strategia francese c’è un morphing potenziale di obiettivi, una mutazione strategica di acronimi: perché la crisi legata alle Ong può rapidamente mutare in crisi da Npl. Ovvero, sofferenze per le nostre banche. Ecco il perché di quel ci vogliono isolare della Meloni, ecco il perché della silenziosa preoccupazione del Quirinale.

Sorge poi un dubbio, in tal senso e in chiave di ruolo Bce: il prolungamento del reinvestimento titoli fino alla fine del 2023 non servirà mica a disinnescare il rischio Btp nei bilanci di banche e assicurazioni estere, francesi in testa, mentre contemporaneamente si opera cherry picking sul sistema bancario italiano? Perché se così fosse, al danno seguirebbe la beffa di un ricorso obbligato ed emergenziale al Tpi – lo scudo anti-spread che equivale al commissariamento da Troika – magari a causa di uno stop inaspettato di quegli acquisti di Btp da parte dell’Eurotower. Magari in primavera, se l’inflazione comincerà a calare come negli Usa.

E attenzione, perché mentre Parigi ci cannoneggiava, Abi e Ance, rispettivamente associazione bancaria e dei costruttori edili, hanno preso carta e penna e scritto una lettera congiunta al Governo sul tema Superbonus, chiedendo una misura tempestiva e di carattere straordinario per «scongiurare al più presto una pesante crisi di liquidità per le imprese della filiera che rischia di condurle a gravi difficoltà. Il tutto, a meno di 24 ore dall’improvviso e drastico stop di Poste Italiane proprio alla cessione del credito legato al Superbonus. E dall’allarme del ministro Giorgetti, a detta del quale i bonus edilizi stanno causando rilevanti maggiori oneri rispetto alle stime. L’incremento, sulla base delle informazioni al primo settembre, segnala uno scostamento complessivo di 37,8 miliardi sull’intero periodo di previsione.

Insomma, la trappola perfetta. E il Governo Meloni ci è cascato con tutte le scarpe.

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