Infuria la polemica sui cortei per la celebrazione del 25 aprile. La cavalca anche Franco Bechis, direttore de Il Tempo, che nel suo editoriale utilizza la “liberazione” – quella celebre del 1945, in cui fu proclamata l’insurrezione generale nei confronti della RSI e delle truppe naziste – per parlare della “liberazione” dalla quarantena da Coronavirus. La tesi del direttore è racchiusa in un concetto: “Se il sindaco di Milano Beppe Sala ha potuto celebrare la sua messa laica nel cortile di Palazzo Marino (…) offrendo sedie appena distanziate l’una dall’altra alla platea, non vedo perché sia ancora impedito a qualsiasi parroco di celebrare messa davanti ai propri fedeli distanziati facendoli partecipare all’eucarestia”. Ecco allora il tema, che si lega a filo doppio alla messa interrotta a Soncino, quando oltre agli autorizzati erano presenti in chiesa sei persone, che mantenevano la distanza di sicurezza.



Franco Bechis non ne fa una polemica sul 25 aprile, ma non può fare a modo di notare che “improvvisamente tutto è divenuto lecito per questa data, anche quello che fin qui è stato proibito a milioni di italiani”. Questo perché sabato in varie piazze delle città italiane ci sono stati “quelli che da un mese a questa parte si chiamano ‘assembramenti’. Non ne fa una polemica su chi ha pensato bene di sfruttare la festa per “una boccata d’aria e un po’ di festa”, a volte trascinando in piazza anche dei bambini che si sono messi a giocare a calcio: il direttore de Il Tempo ammette serenamente che questa gente ha fatto bene, “credessero o meno alla Resistenza”, ed ecco allora che la parola “liberazione” torna nel discorso del giornalista, che infatti sostiene fermamente che anche secondo lui sia arrivato quel momento. “Vorrei festeggiare la liberazione dal virus come tutti, ma anche quella dai carcierieri e dei carcerati da questa strana sindrome di Stoccolma che ha colpito milioni di italiani”.



FRANCO BECHIS, “25 APRILE IN PIAZZA MA CHIESE CHIUSE”

Per Bechis, il problema riguarda proprio la messa: secondo lui è vero che il 25 aprile ha ridato libertà all’Italia e lo ha strappato a guerra e povertà, non nega nulla del valore della ricorrenza e riconosce la nascita della democrazia e la nascita della Costituzione che conosciamo oggi, ma “la memoria ha il dovere di abbracciare tutta quella storia”, qui citando Giampaolo Pansa. Tutta via quello che non si capisce è: “Perché nelle piazze del 25 aprile sì e oggi – domenica – nelle chiese italiane non può entrare nessuno?”. Ecco allora la sproporzione che Bechis vuol lasciare intendere: secondo lui non ci sta che sia negata a milioni di cattolici una funzione che è “la memoria vivente di una liberazione ben più grande e resistente da più tempo di quella del 1945”. E, sempre citando la Costituzione, per Bechis il Governo ha usato violenza per “stravolgerla come mai era accaduto nell’Italia libera”. Un sopruso, lo chiama letteralmente, accettato con mitezza dalla chiesa italiana come accaduto a famiglie intere e bambini “chiusi in casa buttando via la chiave con il racconto di qualche panzana per tenerli buoni”.



Infine, a chiusura del suo editoriale, Bechis dice che se davvero vogliamo festeggiare tutti insieme la liberazione bisogna essere liberati da “chi ha preso queste decisioni”, essere liberati dalla paura del Coronavirus, “dagli slogan ripetuti da ebeti, dal pensiero unico divenuto bandiera” e ancora da tante altre cose che secondo lui hanno creato un’autentica prigione. E alla fine, passando alla semi-citazione latina, il direttore parla apertamente di regime: Libera nos dal nuovo regime, il più crudo che l’Italia abbia conosciuto da quei tempi lontani festeggiati ieri quasi inconsapevolmente dai nuovi carcerati”. Che, evidentemente, non si sarebbero accorti di essere in un carcere.