Franco La Torre, figlio di Pio La Torre, il segretario del Pci siciliano ucciso da Cosa Nostra nel 1982, non vuole commentare la vicenda relativa all’arresto di Daniela Lo Verde, la preside della scuola “Giovanni Falcone“ allo Zen di Palermo, ma ai microfoni del quotidiano La Nazione ha parlato di come il sistema dell‘antimafia si è evoluto dall’omicidio del padre a ora.
“A fronte di una ricetta straordinaria, grazie alla legge che porta il nome di mio padre, oggi abbiamo un’antimafia sociale diffusa nel territorio inimmaginabile quarant’anni fa. Associazioni, comitati, piccoli gruppi che fanno un lavoro straordinario”, ha sottolineato. Non sempre, però, ciò è sufficiente. “La questione è la loro fragilità: sono esperienze molecolari, non hanno la possibilità di confrontarsi e spesso producono fenomeni di autoreferenzialità. Se ci fossero più occasioni di dialogo tra le varie realtà, potrebbero emergere anche le cose che non vanno. Ad esempio, se non mi presento a un incontro perdo credibilità e gli altri iniziano ad avere dei dubbi e scoprono che è tutto finto”.
Franco, figlio di Pio La Torre, svela i problemi dell’antimafia
Franco La Torre, figlio di Pio La Torre, ha evidenziato inoltre come troppo spesso l’antimafia sia addirittura strumentalizzata. “Perché ti promuove, è una buona pubblicità. Io sindaco, per dire, posso appuntarmi al petto la coccarda di avere sostenuto una buona azione. Alcuni avvocati creano le associazioni per costituirsi parte civile, ma è solo il loro lavoro. Aiuta a far carriera”. Tra questi esponenti ci sono persino persone che conoscono Cosa Nostra dall’interno.
“Le conseguenze più tragiche sono che c’è chi fa il paladino dell’antimafia e poi risulta mafioso: si usa l’antimafia come copertura e la mafia l’ha capito da tempo”, ha denunciato. È per questo che è necessario il controllo. “Bisogna partire dal presupposto che c’è un’antimafia tradita. Da sola non basta, va aiutata”, ha concluso.