Una lunghissima intervista oggi sul Corriere della Sera ha ospitato il pensiero e il ritorno alle cronache per Francois Hollande, Presidente della Francia dal 2002 al 2007: nel dialogo con Walter Veltroni, il predecessore di Macron si muove tra coronavirus, crisi economica e proteste mondiali sul tema razzismo rappresentano la nuova sfida di questa seconda parte del funestato 2020. «Il mondo post-Covid 19 va ripensato: la volontà di ritrovare il lavoro, il naturale bisogno di crescita economica ci spingono a cercare e sperare che torni ciò che avevamo ‘prima’ e ci spinge a lavorare in questa direzione», sottolinea l’ex inquilino dell’Eliseo, aggiungendo poi come al contrario «la nostra responsabilità è ripensare un modello di sviluppo che ha mostrato una grande fragilità. È vero che né la globalizzazione né il fattore umano sono stati all’origine di questa crisi. Ma è altrettanto certo che i cambiamenti climatici possono produrre, un domani, delle conseguenze ancora più drammatiche».



Per Hollande non solo l’Occidente ma tutti devono cambiare profondamente il modo di vivere che era stato impostato prima della pandemia: «Dovremo fare delle scelte, nella ripresa post crisi, e adottare un nuovo modello di sviluppo possibile. E riaffermare il valore del vivere sociale. Il confinamento, ad esempio, ci può far abituare alla rinuncia a certe, inalienabili, libertà. Non si vive confinando le libertà». Richiami all’ambiente, al concetto di “tutti uguali nell’unico pianeta” e soprattutto sottolineatura molto dura su sovranismi e nazionalismi: ancora Hollande a Veltroni confessa «Non è possibile affrontare i virus globali con una politica nazionalista. Quelli che hanno voluto ignorare il virus o hanno creduto fosse possibile erigere barriere, come Trump, Bolsonaro, Johnson, sono stati raggiunti violentemente dall’infezione. Questa crisi dovrebbe averci insegnato che, se vogliamo evitare ulteriori crisi sanitarie o climatiche, è insieme che dobbiamo prendere le decisioni. E solo insieme potremo vincere le nuove sfide della crisi climatica».



HOLLANDE ATTACCA TRUMP, EPPURE ANCHE LA SUA POLIZIA MANGANELLAVA…

La crisi della sinistra in Europa e nel mondo secondo l’ex Presidente francese – il meno popolare di tutti i suoi predecessori e “responsabile” in parte della disintegrazione del Partito Socialista con l’ascesa successiva di Emmanuel Macron – è spiegabile nel fatto che «abbiamo saputo amministrare bene la cosa pubblica ma non abbiamo interpretato bene le angosce sociali. La questione migratoria ha mutato poi l’orientamento della base popolare della sinistra spostando verso la destra populista settori importanti della classe operaia e degli strati più deboli della società».



Non poteva mancare l’accenno alle proteste per la morte di George Floyd che hanno segnato e segneranno le piazze di buona parte dell’Occidente: «I moti razziali sono un elemento permanente della storia americana. Ma ora Donald Trump, invece di cercare una via di dialogo e distensione, ha scelto di puntare a uno scontro diretto. Quando una grande democrazia come quella americana sceglie di fare appello all’esercito per reprimere delle manifestazioni, di arrestare dei giornalisti mentre svolgono il loro lavoro, ciò non può non provocare una profonda ferita in tutti gli europei. E questo clima rischia di determinare delle conseguenze nei nostri stessi Paesi, dove sono tornati ad affiorare sentimenti di odio e di discriminazione. Dobbiamo vigilare perché in America non prevalga una deriva repressiva e perché in Europa non emergano spinte razziste e xenofobe».

Hollande a gioco facile nell’attaccare la reprimenda di Trump alle manifestazioni e gli interventi dell’esercito, ma – come evidenzia giustamente un editoriale polemico di “Tempi” contro l’ex Presidente francese – dimentica forse gli interventi molto duri delle forze dell’ordine sotto il suo Eliseo contro la Manif Puour Tous (in piazza per contrastare le leggi poi approvate su matrimoni gay e adozioni per coppie LGBT): «Bisognerebbe ricordare poi le oltre mille persone poste in guardia a vista solo perché protestavano pacificamente contro la legge Taubira, quelle fermate o interdette dal votare o dall’entrare nei musei solo perché indossavano la maglietta della Manif pour tous, quelle che non hanno potuto votare. La repressione dei manifestanti è stata così eccessiva da essere denunciata al Consiglio dei diritti umani da Gregor Puppinck, direttore del Centro europeo per la legge e la giustizia», attacca Leone Grotti su Tempi.