La mattina di venerdì 2 settembre è morto in California Frank Drake (1939-2022), il padre della celeberrima equazione che porta il suo nome nonché del programma SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), che cerca possibili segnali radio di altre civiltà per mezzo dei radiotelescopi. È stato uno dei personaggi storici del nostro tempo. Ed era mio amico.
Nato a Chicago, aveva studiato alla Cornell University, la stessa in cui insegnavano Giuseppe Cocconi e Philip Morrison, che il 19 settembre 1959 pubblicarono su Nature un articolo di appena una pagina e mezza che conteneva già tutte le idee base del SETI. Appena 7 mesi dopo, l’8 aprile 1960, un Drake non ancora trentenne le metteva in pratica, iniziando presso l’Osservatorio di Green Bank, in West Virginia, il primo programma SETI della storia: il Project Ozma.
L’anno seguente organizzò a Green Bank un congresso in cui propose di studiare, uno per giorno, 7 fattori rilevanti per la ricerca della vita nello spazio, che poi divennero i 7 termini dell’Equazione di Drake.
Erano gli anni della Luna e la conquista dello spazio sembrava a portata di mano. Poi tutto terminò e anche per il SETI vennero tempi duri. Ma lui non mollò mai e un po’ alla volta, pur fra mille difficoltà, riuscì a farlo accettare da tutti come “serious science”.
Frank non è riuscito a coronare il suo sogno di stabilire il primo contatto con una civiltà aliena, ma, se un giorno questo dovesse mai accadere, non c’è dubbio che la prima persona a cui tutti penseranno sarà lui.
Ma oggi, più che delle sue imprese scientifiche, per cui rimando al mio libro La vita extraterrestre (Studium 2021) e al sito del SETI Institute, permettetemi di parlare un po’ di lui e del suo modo di intendere la professione di scienziato.
Per me, che quando in Italia si cominciò a parlare del SETI ero ancora un bambino, Drake era una specie di personaggio mitologico. Ma quando finalmente lo conobbi, nel 1999, al congresso Bioastronomy 99, nella splendida cornice delle Hawaii, scoprii una persona certo di straordinaria intelligenza, ma anche di non meno grande gentilezza, disponibilità, allegria e, soprattutto, umiltà.
Questo gli veniva certo dal carattere, ma più ancora dalla consapevolezza di essersi scelto un compito grandioso ma difficilissimo, di cui forse non avrebbe mai visto il risultato (come in effetti è stato) e che poteva richiedere il lavoro di intere generazioni. E ciò gli permetteva di vedere i successi e i problemi all’interno di un orizzonte più grande, che ridimensionava sia gli uni che gli altri.
Per lo stesso motivo, fin dall’inizio volle che il SETI fosse un’impresa interdisciplinare a 360 gradi, che coinvolgesse non solo scienziati, ma anche antropologi, sociologi, psicologi, filosofi e perfino artisti. E riuscì a far accettare questa idea quasi visionaria non solo nel “suo” SETI Institute, ma perfino nel SETI Permanent Committee della International Academy of Astronautics, che coordina la ricerca a livello mondiale e che, per quanto ne so, è l’unico importante organismo di ricerca scientifica ad avere questa caratteristica.
È una lezione importantissima, tanto più in un momento in cui la ricerca scientifica è sempre più finalizzata a un miope utilitarismo di breve periodo, mentre quella in campo umanistico sta venendo progressivamente definanziata (cioè strangolata) nel colpevole silenzio di tutti.
Ma, come ho detto, per me Frank era soprattutto un amico. E non tanto perché abbia avuto l’opportunità di conoscerlo e di lavorarci insieme, ma piuttosto perché l’incontro con lui e con ciò che da lui è nato è stato determinante per trovare la mia strada.
Perché questo è ciò che fa un amico: ti aiuta a camminare verso il Destino, spesso senza neanche saperlo, ma semplicemente perché, avendo il coraggio di seguire, senza troppi calcoli, ciò che più lo appassiona, indica una strada anche a quelli che condividono quella stessa passione.
Buon viaggio, Frank! Verso le stelle e oltre, fino a incontrare anche tu il tuo Destino.
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