“Da noi il nazionalsocialismo è caduto dal cielo? […] Perché chi non ha dormito nell’ultimo decennio sa benissimo come e perché si è arrivati a tanto”. Sono parole che Franz Jägerstätter scrisse nel 1941. La storia di questo contadino, obiettore di coscienza alla guerra di Hitler, è un esempio di vita cristiana che mette al centro la coscienza quale sacrario del rapporto personale con Dio contro ogni riduzione ideologica della fede. Il Concilio Vaticano II e gli ultimi tre papi indicheranno in lui un modello per i giovani del nostro tempo.
Per capire chi è Franz Jägerstätter possiamo partire da una notte del gennaio 1938, quando Franz fece un sogno: “A un tratto mi venne mostrato un bel treno che girava attorno ad una montagna. Oltre agli adulti c’era anche un gran numero di ragazzi che accorreva per salire sul treno e non si riusciva quasi a fermarli […]. Poi improvvisamente una voce mi disse: ‘Questo treno conduce all’inferno’”. Così Franz interpretò il sogno: quel treno era il nazionalsocialismo, che “irrompeva violentemente o si introduceva di soppiatto con tutte le sue articolate strutture […]. Io vorrei davvero gridare a tutti coloro che si trovano su questo treno: ‘Saltate giù prima che il treno arrivi al capolinea, anche se ciò dovesse costarvi la vita!’”.
Ma come faceva un semplice contadino ad avere una simile chiarezza di giudizio sul totalitarismo, con una lucidità che pochi intellettuali e pastori della Chiesa seppero conservare nei tempi bui, sotto il peso della propaganda e delle minacce? La storia di Franz, dei suoi incontri e del cammino di fede che, sostenuto dall’amata Franziska, lo condusse fino al martirio è il filo conduttore della grande mostra Franz e Franziska, non c’è amore più grande, allestita dal Meeting di Rimini (dal 20 al 25 agosto). Attraverso le parole dei protagonisti, corredate da foto d’archivio, videointerviste e scene dal film La vita nascosta di Malick, il visitatore sarà accompagnato in un percorso di conoscenza e di immedesimazione con la commovente storia di questi due sposi.
Figlio di ragazza madre e orfano di padre, adottato a dieci anni da Heinrich Jägerstätter, Franz Jägerstätter era nato nel 1907 a Sankt Radegund, un villaggio dell’Alta Austria al confine con la Baviera. La sua giovinezza fu irrequieta: in sella alla sua fiammante moto, divenne un boss negli scontri tra bande di paese. Mise anche incinta una ragazza, ma non la sposò. Poi conobbe Franziska, una bella ragazza dolce e volitiva, e questo incontro gli cambiò la vita. Fu un matrimonio felice, invidiato nel paese, ma un’ombra incombeva sul paese e sull’Austria intera: a 30 chilometri da Sankt Radegund sorgeva Braunau, la città natale di Adolf Hitler, così evocata nel Mein Kampf: “Felice destino: questa cittadina giace al confine di quei due Stati tedeschi la cui riunificazione […] appare come un compito da perseguire con ogni mezzo”. E fu proprio con ogni mezzo che, divenuto Führer della Germania, egli perseguì l’annessione dell’Austria nel Grande Reich.
Per chi osservava dal di qua del confine austriaco non fu difficile capire, tra il 1933 e il 1938, quale fosse la vera natura del nuovo regime tedesco. I vescovi austriaci in quel periodo avevano criticato aspramente il nazismo, come del resto il papa Pio XI, che nell’enciclica Mit brennender Sorge (“Con viva ansia”) del 1937 ne mise in luce il carattere anticristiano. Il vescovo di Linz, Gföllner, dichiarò in particolare che era impossibile “essere buoni cattolici e veri nazionalsocialisti”.
Intanto, però, di là dal fiume Salzach, i nazisti premevano per l’annessione (Anschluss) dell’Austria al grande Reich e Franz assisteva con angoscia alle crescenti violenze contro le persone e le pratiche religiose. Poi, nel marzo del 1938, il sogno del treno cominciò ad avverarsi: con l’ingresso del Führer a Linz, acclamato tra due ali di folla, l’Anschluss era un fatto compiuto. I vescovi austriaci invitarono a votare “sì” al referendum confermativo che si tenne il mese dopo e Franz, amareggiato, scriverà: “Credo che nella primavera del 1938 le cose non siano andate diversamente dal giovedì santo di 1900 anni fa, quando fu data al popolo giudeo la scelta fra il Salvatore innocente e il delinquente Barabba; anche allora i farisei distribuirono denaro al popolo per gridare forte, per confondere e spaventare coloro che stavano dalla parte di Cristo”.
Scoppiò infine la guerra. Franz fu chiamato all’addestramento militare, durante il quale raccolse testimonianze sullo svuotamento di un manicomio nella città di Ybbs. Ne scrisse a Franziska: “Cara moglie, probabilmente è vero quello che una volta mi hai raccontato sulla fine di queste persone. Un contadino ci ha raccontato che sono successe cose davvero tristi”. In coscienza con quel regime non avrebbe potuto più collaborare. Gli era ormai chiaro che quella in corso non era una guerra come altre, ma una rivoluzione pagana, di una “guerra di fede”, e che non avrebbe mai potuto riconoscersi “nella comunità nazionalsocialista”.
All’ultima chiamata, Franz dichiarò la sua obiezione di coscienza alla guerra di Hitler. Incarcerato a Linz, si preparò a lottare per amore di Cristo e, se necessario, a morire. Non cercava il martirio e si dichiarò disponibile al servizio sanitario non armato, ma questa disponibilità non venne considerata. Lo scambio di lettere con l’amata Franziska e la delicatezza con cui chiedeva delle bambine, degli amici e dei parenti suscitano ancora oggi una grande commozione. Quelle lettere ci parlano della progressiva maturazione umana e cristiana di quel ragazzo ribelle che amava la vita, grazie a un amore più grande, quello per Franziska e per le bambine, che i due sposi vivevano come sequela a Cristo sulla via della croce e, attraverso di essa, verso la Resurrezione. Franz era cambiato: la preghiera quotidiana, la pratica dei sacramenti vissuta con Franziska, l’amicizia con il parroco e con l’amico Rudolf, con lui votato al Terz’ordine francescano e che di lì a poco sarebbe caduto in guerra, la meditazione sul martirio di san Tommaso Moro, tutto questo rafforzava la sua intuizione giovanile: “Il cristiano non deve mai essere soddisfatto nel suo tendere a Cristo”.
Trasferito nel carcere di Berlino, fu condotto alla ghigliottina il 9 agosto, primo tra altri 15 obiettori di coscienza. La sua ultima lettera ci mostra il suo sguardo teso al paradiso: “Amatissime moglie e madre, non mi è stato possibile risparmiarvi le sofferenze che dovete subire per causa mia. Anche per il nostro Salvatore deve essere stata una grande pena dover procurare a sua Madre, con la sua sofferenza e la sua morte, un dolore così profondo […]. Siate fedeli ai comandamenti, e ci rivedremo presto, per grazia di Dio, in Cielo”. Apparentemente solo, Franz Jägerstätter restò sempre in comunione con Cristo attraverso l’amore per Franziska e per la Chiesa dei santi: “Se non mi fossi affidato alla misericordia di Dio […] non sarei riuscito a essere così tranquillo in queste ore solitarie in carcere”. Sarà proclamato beato nel Duomo di Linz il 26 ottobre 2007. Franziska ne coltiverà la memoria fino alla morte, avvenuta nel 2013 all’età di cento anni.
Al Meeting è disponibile il catalogo della mostra: Franz e Franziska, non c’è amore più grande. I coniugi Jägerstätter e il martirio della coscienza, edito da Libreria Editrice Vaticana a cura di Andrea Caspani e con la prefazione del cardinale Matteo Zuppi. Sempre al Meeting, oggi, 21 agosto, si terrà un dialogo con Erna Putz, biografa di Franz e amica personale di Franziska (ore 12, spazio Arena internazionale).
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