Profanare una tomba è già di per sé un atto ignobile e sacrilego, profanare quella di due fratellini scomparsi 15 anni fa come Francesco e Salvatore Pappalardi – Ciccio e Tore, i fratelli di Gravina – è se possibile ancora più disgustoso. La notizia è stata data direttamente dal sindaco di Gravina, comune in provincia di Bari in Puglia, in un post su Facebook che ha reso pubblico una denuncia alle autorità scattata automaticamente: «Ciccio e Tore, Francesco e Salvatore Pappalardi. La loro tragica storia non basta a saziare la fame di dolore degli sciacalli», scrive il sindaco Alesio Valente sui social.
Era il 5 giugno del 2006 scomparvero a Gravina e vennero ritrovati solo 20 mesi dopo nella cisterna di una masseria abbandonata nella zona dove, forse, finirono per un tragico gioco. Nel 2018 il papà Filippo Pappalardi – arrestato in un primo momento perché accusato di aver ucciso i due figli e occultato i loro cadaveri, salvo poi essere liberato e scagionato da ogni accusa dopo un gravissimo errore giudiziario – chiese la riapertura delle indagini pur dopo la sentenza di Cassazione che archiviò definitivamente il caso della morte di Ciccio e Tore.
IL COMMENTO INDIGNATO DEL SINDACO DI GRAVINA
La profanazione della tomba dei due ragazzini è stata rivelata al sindaco dal papà dei fratellini di Gravina: «un paio di giorni fa mani ignote ma esperte hanno forzato l’ingresso della cappella cimiteriale in cui riposano i due fratellini ed hanno scardinato le lastre di vetro che ricoprono le tombe», scrive ancora Valente rivelando come papà Filippo gli abbia comunicato il fatto in lacrime e con la voce rotta dalla sofferenza. «È fiducioso che le istituzioni, anche attraverso il sindaco, e naturalmente attraverso le forze dell’ordine e la magistratura, possano aiutare a far luce su quanto accaduto, sui motivi di tanto odio vigliacco», spiega il primo cittadino di Gravina, aggiungendo «Ho ascoltato con attenzione e con commozione le parole di Filippo ed ho voluto esprimergli tutta la mia vicinanza».
La profanazione della tomba di Ciccio e Tore, conclude Alesio Valente, apre un interrogativo inquietante e profondo: «Un gesto del genere, che è come sale su una ferita mai rimarginata, è un’offesa non solo ad una famiglia che piange i suoi bambini, ma ad una città intera, che forse con quella triste vicenda non ha ancora fatto del tutto i conti. Ed è forse ora di fermarsi a riflettere, nel nome della verità».