FRATELLI TUTTI, ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO. Sarà la storia a dirci se l’enciclica firmata il 3 ottobre da papa Francesco, e pubblicata nel giorno in cui la Chiesa celebra proprio il poverello di Assisi, sarà anche il testamento del suo pontificato o piuttosto l’ennesima profezia che alza lo sguardo dalla miseria delle vicende terrene in cui è impantanata la Santa Sede per donare nuovamente all’umanità orizzonte e prospettiva. Tuttavia la Fratelli tutti – questo il nome del documento – col suo centinaio abbondante di pagine e i suoi otto capitoli si presenta da subito come un nuovo atto dirompente di questo pontificato. Lo fa nei temi, decisamente non nuovi per l’età bergogliana, ma soprattutto nei toni: la condanna della guerra e la perentorietà con cui si esclude l’esistenza di un conflitto “giusto” suonano come un netto superamento del catechismo del 1992 e hanno il sapore di un pronunciamento dogmatico e definitivo che difficilmente i futuri successori di Pietro potranno ignorare.



Ma l’enciclica non è soltanto questo: c’è dentro un ampliamento radicale dei principi della Dottrina sociale della Chiesa, dalla destinazione universale dei beni al primato del bene comune, dalla sussidiarietà alla solidarietà, dalla necessità di partecipare al processo politico fino al primato della persona in quanto depositaria del mandato divino di custode del creato. Ci saranno riflessioni e voci autorevoli che potranno squadernare implicazioni, tematiche e ripercussioni delle parole impresse dal Papa nell’agone del dibattito intra ed extra ecclesiale, eppure s’indovinano almeno tre prime considerazioni che – a caldo – possono fungere da bussola per tutti coloro che vogliano addentrarsi nella lettura diretta del testo.



In primis, è portata a compimento la profezia di Benedetto XVI quando asseriva che solo la Chiesa – paradossalmente – sarebbe rimasta a difendere i valori illuministi della ragione in virtù del suo legame con l’origine di quei valori, Gesù Cristo. Francesco ripropone la terna parigina di libertà, fraternità e uguaglianza non come pietre con cui seppellire il bimillenario apporto della Chiesa alla società, ma come tasselli con cui oggi la medesima Chiesa richiama l’uomo a ricostruire il tessuto sociale e civile del nostro tempo.

E poi la pandemia, vista come il sintomo con cui la realtà ripresenta all’uomo il bisogno di essere guarita, di avere qualcuno che la risani. Il Papa ne parla citando Enea: “Sono le lacrime che provengono dalle cose e dalle manifestazioni della mortalità a poter toccare davvero le menti”. “Se tutto è connesso – suggerisce Francesco – è difficile pensare che questo disastro mondiale non sia in rapporto con il nostro modo di porci rispetto alla realtà, pretendendo di essere padroni assoluti della propria vita e di tutto ciò che esiste. Non voglio dire che si tratta di una sorta di castigo divino. E neppure basterebbe affermare che il danno causato alla natura alla fine chiede il conto dei nostri soprusi. È la realtà stessa che geme e si ribella”, interpellandoci.



Ecco: è questa chiamata all’umano che segna l’orizzonte e la traiettoria della Chiesa di Bergoglio, una chiamata trasversale a tutte le religioni, libera dai condizionamenti politici dei populismi e delle ideologie liberali, ma fortemente radicata in quel Vangelo che il Papa annuncia come autentico servizio all’umanità. Perché che cosa può davvero risvegliare l’umano e renderlo rinnovato protagonista della storia? Non una strategia, non un piano politico, ma solo un fatto capace di calamitare tutta l’energia affettiva e morale dell’Io. Un fatto che sferzi i nostri cuori di pietra e con cui intraprendere la strada del cambiamento, della conversione. La strada che – unica – può rispondere al bisogno di ricominciare, e di rinascere, che si nasconde dentro il cuore di ogni uomo e del mondo intero.

Fratelli tutti dunque, figli pieni di desiderio e mendicanti di un Padre che, come buon samaritano, risani il nostro cuore e le nostre indicibili – a volte perfino scandalose – ferite.

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