Mentre l’Ocse ha rivisto al ribasso le stime di crescita del Pil mondiale, segnalando il rischio che arriva dai dazi bilaterali, e il Bundestag ha approvato la riforma del freno al debito dopo l’accordo raggiunto tra Cdu/Csu, Spd e Verdi, la Camera di Commercio Italo-Germanica, AHK Italien, ricorda che l’interscambio tra Italia e Germania nel 2024 si è attestato a 156 miliardi di euro, registrando una flessione del 4% rispetto al 2023, a causa principalmente del rallentamento dell’export italiano, influenzato dalla debolezza della domanda tedesca.
Va detto che nonostante il calo, il risultato del 2024 è il terzo più alto di sempre e, come ci spiega Monica Poggio, amministratore delegato di Bayer Italia e presidente di AHK Italien, «vi sono alcuni segnali incoraggianti per il 2025 che indicano la possibilità che si inneschi un trend di ripresa».
Quali sono questi segnali positivi?
Nella chimica di base c’è stato un incremento del commercio bilaterale dello 0,76%; si tratta di una risalita contenuta, ma che interessa un settore in particolare difficoltà e che per sua natura spesso è fortemente indicativo di un trend in corso. Per quanto riguarda l’agroalimentare, la crescita nel 2024 è stata addirittura del 9% dopo il +10% del 2023. Guardando poi agli indicatori macroeconomici più recenti, a gennaio 2025 la produzione industriale tedesca è cresciuta del 2% rispetto a dicembre, grazie soprattutto al +6,4% dell’automotive e al +3,4% dei settori più energivori. Vedremo se questi segnali incoraggianti si consolideranno nei prossimi mesi.
Intanto destano una certa preoccupazione i dazi che gli Stati Uniti potrebbero imporre su diversi prodotti europei.
Lo scorso anno la sola Germania ha esportato negli Usa beni per 226 miliardi di euro e il valore degli scambi con l’altra sponda dell’Atlantico ha superato dopo diversi anni quello con la Cina. Va anche detto che Italia e Germania insieme rappresentano il 42,5% dell’export totale dell’Ue verso gli Stati Uniti, un quinto del quale realizzato da siderurgia e automotive. È comprensibile, quindi, la preoccupazione esistente sui dazi, anche se non sappiamo con certezza quali prodotti e settori potrebbero essere maggiormente penalizzati.
I dazi potrebbero portare a considerare sotto una nuova luce i rapporti tra Europa e Cina?
Per l’Europa gli Stati Uniti rappresentano un partner fondamentale, ma è possibile che i dazi portino a una rimodulazione dei rapporti economici tra le due sponde dell’Atlantico. Occorre, pertanto, mettere in conto la possibilità che vi siano dei cambiamenti strutturali che ci portino a rivedere i riferimenti cui siamo abituati. Nel caso occorrerà valutare realisticamente quali altri accordi economici sia possibile costruire, con grande pragmatismo, ma senza compromettere i nostri valori. In questo senso, al di là della Cina, guardando verso l’Asia, penso non manchino delle opportunità.
In attesa del voto del Bundesrat previsto per venerdì, come va giudicato il via libera del Bundestag alla riforma del freno al debito arrivato ieri?
La riforma della Schuldenbremse, ovvero il freno al debito per deficit strutturale previsto dalla Costituzione, rappresenta una buona notizia, perché l’obiettivo dell’accordo Cdu/Csu-Spd-Verdi è la creazione di un fondo per investimenti infrastrutturali da circa 500 miliardi di euro in dieci anni e la possibilità di portare gli investimenti in difesa oltre l’1% del Pil, senza la necessità di trovare coperture finanziarie tramite l’aumento delle entrate o il taglio della spesa pubblica. Di fatto Berlino, avendo lo spazio fiscale per farlo, potrebbe investire circa 90 miliardi di euro l’anno, contribuendo al rilancio dell’economia tedesca.
Ne potrà usufruire anche l’Italia visti i legami esistenti tra le economie dei due Paesi?
Certamente un aumento della domanda tedesca legata agli investimenti infrastrutturali gioverebbe ai settori più interessati dall’interscambio tra Italia e Germania come siderurgia, macchinari e chimico. Penso che i due Paesi debbano rafforzare la cooperazione economica e industriale per affrontare le sfide attuali e future. Il Piano d’azione bilaterale firmato nel novembre 2023 rappresenta uno strumento fondamentale per rafforzare questa collaborazione e garantire competitività alle nostre imprese.
Competitività che può essere rafforzata anche da un’azione a livello europeo.
Assolutamente. Occorre adoperarsi per una maggiore integrazione, come suggerito dai Rapporti curati da Mario Draghi ed Enrico Letta, così che l’Ue possa assumere decisioni a livello geopolitico, sociale ed economico in grado di favorire i Paesi membri, compresi Italia e Germania.
A livello economico cosa potrebbe fare l’Ue?
Ritengo occorra un lavoro congiunto su tre priorità: contenimento dei costi energetici, tramite innovazione e continuità di fornitura a un prezzo competitivo; snellimento burocratico, sia all’interno dei Paesi che a livello europeo; attrazione degli investimenti, in particolare su settori chiave per l’innovazione, con strategie comuni su intelligenza artificiale, transizione verde e manifattura avanzata.
In Germania si paventa una riconversione del settore automotive verso la produzione di mezzi militari. Questa eventualità va guardata con timore?
Penso che nulla vada guardato a priori con timore, ma che occorra in primo luogo analizzare i fatti. L’automotive sta attraversando una fase difficile, anche per via di un deficit di competitività sull’elettrico. Il settore ha, dunque, bisogno di grandi innovazioni e investimenti, ma anche di valutare come sta cambiando l’atteggiamento di consumo nei confronti dell’automobile: sappiamo, infatti, che i giovani non ritengono prioritario il suo acquisto e le famiglie non la cambiano spesso. Occorreranno, dunque, delle valutazioni sul futuro dell’automotive a prescindere dalla possibilità o meno di una sua riconversione legata alla necessità di aumentare, vista la complessità dell’attuale quadro geopolitico, gli investimenti nella difesa.
(Lorenzo Torrisi)
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