Frida Giannini non le manda certo a dire. In un’intervista, la stilista ha parlato di quanto il mondo della moda, ad oggi, sia sempre più ossessionato dal marketing e dalle vendite, mettendo spesso da parte il buongusto pur di ottenere il plauso dai social. Ex direttrice creativa di Gucci, posizione che ha ricoperto dal 2001 al 2015 anno dell’arrivo di Alessandro Michele al timone della maison fiorentina, la Giannini senza peli sulla lingua si è detta inorridita dagli eccessi che spesso si vedono in passerella e alla continua corsa per accaparrarsi i Millennials. “Si pensa di fidelizzare un cliente fin da giovane. È una stupidaggine, perché i ragazzi sono volubili. Così le vere clienti fisse, quelle dai trent’anni in su, si ritrovano a non riconoscersi più in un brand e vanno altrove. Anche dei loghi non se ne può più. La gente ha voglia di cose belle. Adesso sembra sempre Carnevale, non so dove sia andato a finire il buongusto”.
Riguardo agli influencer, oggi parte integrante delle strategie social, ha dichiarato che “Credo siano necessari. Basti vedere come è balzato in borsa Tod’s una volta che nel cda è entrata la Ferragni. Arrivano a tante persone e senza la comunicazione digitale non si può stare. Però, se si produce lusso si dovrebbe venderlo su piattaforme ad hoc, come Farftech o Net-a-porter, non su Alibaba, che è cheap. Bisogna scegliere dove dirigersi”.
Frida Giannini, contro l’estetica del brutto e la moda carnevalesca
Nel corso dell’intervista, alla domanda cosa ne pensa dell’”estetica del brutto” promossa dal suo successore Alessandro Michele (in particolare dopo il caso della modella Armine Harutyunyan che è stata vittima di body shaming sui social ndr), Frida Giannini ha fatto notare che non si tratta di una novità in quanto “Non è stato inventato nulla. Ne parlava già il filosofo Karl Rosenkranz a metà Ottocento. Mi spaventano questi casting dove sembra che i modelli abbiano una qualche malattia. Ma non se ne può più nemmeno delle collaborazioni, che sono solo fenomeni di marketing. Esattamente come lo è scegliere un direttore creativo solo per i follower. Un tempo fuori delle sfilate i paparazzi erano lì per le celebrity, adesso fotografano gente che si acconcia solo per farsi vedere”.
La stilista ha parlato poi del suo percorso artistico dopo l’addio a Gucci: “Sto facendo collaborazioni che mi hanno ridato l’entusiasmo per questo lavoro dopo il disgusto. Mi hanno contattata in tanti, ma non mi hanno convinta. Anche i marchi silenti, che hanno un nome e che sarebbe bello far rinascere. Sto lavorando a un progetto per uno di questi. Ma un direttore creativo non può risolvere tutti i problemi: un’azienda che vuole rinnovarsi deve avere le idee chiare e la volontà di stare al passo coi tempi. Io adoro tuffarmi negli archivi e riportarli in vita, ma mi sono capitate situazioni in cui gli archivi erano proprietà di altri. O, peggio, c’era così poca organizzazione che tutti si occupavano un po’ di tutto e questo, mi passi il termine, genera solo casino. E, poi, ho bisogno di sentire le farfalle nello stomaco”.