Il Decreto lavoro, oggetto del Consiglio dei ministri dello scorso 1° maggio, contiene alcune norme degne di attenzione, da guardare con uno sguardo privo di ideologia. È da lodare la scelta del taglio al cuneo fiscale che, diminuendo il costo del lavoro, permette ai lavoratori di percepire più denaro in busta paga. Si parla di una forbice tra 50 e 100 euro aggiuntivi al mese fino a fine anno. La misura, che dovrebbe in parte contrastare l’inflazione e l’aumento del costo della vita, non è ancora diventata strutturale, anche se l’intenzione, come dicono il Premier e il ministro del Lavoro Calderone, è di estenderla a tutto il 2024. Ci saranno ovviamente da individuare le coperture nei prossimi mesi, dato che attualmente una parte del decreto è stata finanziata da uno scostamento di bilancio, la cui approvazione ha creato qualche problema nella maggioranza parlamentare, subito apparentemente rientrato.
Ci sono tanti altri punti che meritano approfondimento, dalla “rimodulazione” e “abolizione” del Reddito di cittadinanza, al superamento del Decreto dignità per i contratti a termine; merita però attenzione anche un’altra misura proposta dal Ministro Giorgetti relativa all’aumento dei fringe benefit per i lavoratori con figli. È bene ricordare, per evitare fraintendimenti, che questa distinzione tra lavoratori con e senza figli non è una forma di discriminazione, al contrario va incontro ai bisogni dei singoli lavoratori, che evidentemente cambiano a seconda della presenza o meno di figli. Questa estensione fino a 3.000 euro di detassazione di tali benefit per una determinata categoria è figlia della stessa mentalità che ha proposto (anche se al momento sono solo indiscrezioni giornalistiche) una rimodulazione delle tasse in base al numero di figli. L’aumento del benefit aziendale contenuto nel Decreto lavoro si muove nella giusta direzione del sostegno ai nuclei familiari, già questo non è poco; si può discutere sull’effettivo beneficio, ma, visto lo scarso numero di misure a sostegno della famiglia negli ultimi anni (Assegno unico a parte) ogni aiuto è ben accetto.
Questo intervento può anche aprire a una discussione seria sul welfare aziendale: cosa possono fare le aziende per le famiglie? L’obiettivo è quello di agevolare la vita familiare dei propri dipendenti, che comporta un beneficio non solo per loro, ma per le imprese stesse. La cura del dipendente ha infatti anche un ritorno dal punto di vista economico, basti pensare che «le stime Oms ci dicono che per ogni euro investito in benessere psicologico, vi è un ritorno di quattro» (Il Sole 24 Ore). Il benessere che può scaturire dal welfare familiare nelle aziende (non così dissimile dal benessere psicologico appena citato) è una scommessa vincente per entrambe le parti e mettere le famiglie nelle condizioni migliori possibili ha anche un ritorno a livello di fidelizzazione del dipendente, riscontrabile nel suo modo di lavorare, nella sua produttività e nell’attaccamento umano all’azienda: le famiglie e la vita familiare, bambini compresi, sono una ricchezza per la società intera, comprese le aziende. Aiuti come i fringe benefit o altre forme di incentivi in forma di servizi possono impattare positivamente sulla sostenibilità economica di ogni famiglia, portando quindi un potenziale contributo contro la denatalità.
Se le politiche familiari sono sempre auspicabili e ben accolte, per una ripresa demografica della Penisola è quanto mai necessaria un’alleanza tra il mondo delle imprese, che crea lavoro e ricchezza, e lo Stato. Tanti sono infatti gli ostacoli che le famiglie si trovano ad affrontare e ai quali le imprese possono proporre soluzioni: «asili nido, congedi parentali, bollette da pagare e famiglie lontane sono solo alcune delle preoccupazioni che si trovano ad affrontare i genitori» (Plasmon, progetto Adamo).
Ci possono essere tanti esempi di soluzioni ai vari problemi, come ad esempio un incentivo per gli asili nido o la creazione di asili nido aziendali, un sostegno economico per l’acquisto di libri scolastici, l’emissione di ticket per il trasporto pubblico o altro ancora: spese comuni e ricorrenti che, se sostenute dall’azienda, si traducono in un risparmio delle famiglie, andando quindi ad aumentare il loro potere d’acquisto. Sbaglierebbe chi pensasse che il problema demografico sia risolvibile solo dal punto di vista meramente economico, ma certo un sostegno di questo tipo non può che impattare positivamente sulle famiglie.
Anche se non rientra nell’accezione più propria del welfare aziendale, uno dei temi più importanti è la questione del lavoro femminile: attualmente la donna, nella maggior parte dei casi, è costretta a scegliere tra essere lavoratrice ed essere madre. Con l’aggravante che per una madre disoccupata in cerca di lavoro è praticamente impossibile trovarlo. La conciliazione tra l’essere madre e l’essere lavoratrice è essenziale per il benessere suo e del bambino, che non può prescindere dalla figura materna.
In definitiva, quindi, tanto lavoro è ancora da fare per la famiglia, ma pare che il Governo stia provando a smuovere le acque. La grande domande è se basterà o meno.
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