Secondo il noto architetto Massimiliano Fuksas, per la ripartenza dopo il Coronavirus serve un nuovo Umanesimo, che si può sintetizzare nello slogan: “Torniamo nei paesini e lavoriamo da casa“. Fuksas infatti invita a “ripensare il concetto stesso dell’abitare, reintegrando i tre spazi del vivere quotidiano dell’uomo: il luogo dove si abita, quello dove si lavora e quello dove si svolge il tempo libero”. L’Illuminismo e la Rivoluzione Industriale hanno scisso questi tre luoghi, ora potrebbe esserci l’occasione per riunirli.
Fuksas ne ha parlato con l’Huffington Post proponendo un nuovo Umanesimo basato sulla riunione di queste tre funzioni. Massimiliano Fuksas ha fama di essere un architetto visionario, il cui estro va però di pari passo con le concrete esigenze delle persone che poi fruiranno le sue “invenzioni”. Ecco dunque un’idea che è insieme filosofica e pratica – scrive l’Huffington Post – per ripensare il concetto di spazio dopo il Coronavirus.
Fuksas è in campagna da ormai tre mesi, “felicemente bloccato” all’aria aperta e libero mentre si viveva una tragedia che lo ha spinto a queste riflessioni, pensando a come “rendere le abitazioni un luogo dove si può vivere veramente”. La modernità ci ha portato a case in cui vivono sempre meno persone, ma con esigenze sempre crescenti: serve dunque “un ripensamento dello spazio abitativo che comprenda un piano governativo. Perché la casa non deve essere fatta solo dai privati, ma anche dal Governo”.
FUKSAS: LE IDEE PER UN NUOVO UMANESIMO DOPO CORONAVIRUS
Fuksas in questo “nuovo Umanesimo” abitativo chiede infatti un piano dell’edilizia sociale “che permetta di avere anche un piano abitativo che sia luogo di incontro in condominio per tutti gli abitanti”, dove incontrarsi per lavorare, trascorrere il tempo, aiutare gli anziani ad imparare i rudimenti della tecnologia eccetera, dunque “l’aspetto privato debba essere di per sé pubblico e l’aspetto pubblico, cioè la piazza, le grandi aree verdi e del tempo libero devono essere anche private in un certo senso, reintegrando il senso di pubblico e privato. Ognuno di noi si deve riappropriare oltre che della propria abitazione, del proprio vivere la casa, anche degli spazi pubblici”.
Il Coronavirus ci ha fatto scoprire il valore del vivere in piccoli centri, con la “fuga” magari verso le località d’origine della propria famiglia, che deve essere favorita migliorando la digitalizzazione dell’Italia visto che un terzo dei lavoratori può farlo da casa. Si potrebbe “rioccupare aree che sono straordinarie, dove magari vivremmo meglio” grazie a un senso di comunità più forte rispetto alla città.
“La provincia ha una capacità di soluzione superiore a quella della città, dove ogni problema diventa un macigno, ogni aspetto burocratico diventa insolubile”. Una rivoluzione che naturalmente non sia un obbligo, ma che favorisca tutti coloro che vogliono tornare a vivere in una dimensione più umana.
FUKSAS: TECNOLOGIA E INNOVAZIONE INDISPENSABILI
Certamente servirebbero investimenti, ad esempio in formazione e ricerca, ma Fuksas sottolinea anche un aspetto solo apparentemente marginale come il ricircolo dell’aria: “Nella lettera che abbiamo inviato a Mattarella, fra le varie proposte c’era anche il ripensamento dei sistemi di aria condizionata, da sempre responsabili di veicolare virus e batteri. Dobbiamo cominciare a pensarci anche in Italia”, che dal punto di vista dell’innovazione è “uno degli ultimi Paesi in Europa”.
Grandi eccellenze però isolate, con un Ministero dell’Innovazione di cui “non ho mai avvertita la presenza”. L’Italia secondo l’architetto ha vissuto il 2000 con 20 anni di ritardo e ora i cambiamenti sono stati dettati da un evento traumatico, generando senso di smarrimento. Fuksas dunque insiste sul piano della ricerca e dell’innovazione per rendere davvero possibile il nuovo Umanesimo.
Nella già citata lettera al presidente Mattarella, si parla ad esempio anche dell’idea di un “non ospedale”, un sistema di sanità che parte dalla propria casa. Nel team sono coinvolti anche esperti che si occupano di Intelligenza Artificiale e ricerca avanzata in Discipline Mediche e Tecnologiche con l’obiettivo di ampliare lo Spallanzani. Fuksas chiude con un ricordo legato proprio all’ospedale romano: “Mio padre era un medico ed è stato accolto a lavorare lì quando non poteva lavorare perché straniero (lituano, ndR) e mia madre aveva perso la cittadinanza perché aveva sposato uno straniero, retaggio delle leggi fasciste.