La scorsa settimana la Brunel University London, in collaborazione con l’Università di Oxford e l’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha ospitato il suo primo Forum di Economia della Salute e Politiche Sanitarie. La discussione si è incentrata sulle sfide economiche che una società con sempre più alti livelli di consumo “dannoso” presenta. Le sfide sono tante e non possiamo affrontarle riproducendo schemi che hanno già fallito in passato.



Il messaggio principale dell’evento è stato unanime: i sistemi sanitari di tutto il mondo spendono una sostanziosa quantità di risorse, denaro e tempo per prendersi cura di tutte quelle persone che adottano comportamenti rischiosi, dall’abuso di sostanze stupefacenti all’eccessivo consumo di alcol, sigarette tradizionali e zucchero, passando per il gioco d’azzardo fino all’utilizzo compulsivo di telefoni cellulari e social media. Questi ben noti fattori contribuiscono all’incremento dei ricoveri ospedalieri, alla necessità di cure mediche intensive e all’aumento complessivo dei costi per il sistema sanitario. L’impatto economico è ancora maggiore se si considera la perdita di produttività dovuta all’assenza dal lavoro correlata a malattie, trattamenti e recupero.



La domanda fondamentale che è emersa durante le discussioni, alla presenza di accademici, decisori politici, e giornalisti, è stata: quale sarebbe l’impatto se una porzione significativa di queste persone adottasse stili di vita meno rischiosi? Per esempio, nel caso del fumo, cosa accadrebbe se i consumatori decidessero di muoversi verso prodotti come le sigarette elettroniche e il tabacco riscaldato? E se, per quanto riguarda l’alcol e lo zucchero, si incentivasse un consumo più moderato? Secondo i ricercatori che hanno partecipato al forum, l’unica strada da percorrere è quella pragmatica, e non ideologica, di promuovere e incentivare una transizione verso prodotti e comportamenti meno dannosi. I ricercatori hanno sottolineato come questa transizione porterebbe a una diminuzione dei ricoveri, dei trattamenti medici, della sofferenza umana e, di conseguenza, dei costi per i sistemi sanitari e la società. Miliardi potrebbero essere risparmiati ogni anno. Miliardi che la politica potrebbe usare per rinvigorire i sistemi sanitari, a oggi messi a dura prova da policrisi senza fine, tra pandemia, rallentamenti economici e guerre.



In un mio recente editoriale, pubblicato su questo giornale, ho spiegato che se la metà dei fumatori inglesi passasse all’uso di prodotti alternativi, si risparmierebb oltre mezzo miliardo di sterline all’anno in soli costi di salute diretti. Anche con un tasso di conversione del solo 10%, il Sistema sanitario nazionale inglese risparmierebbe 103 milioni di sterline annualmente, riducendo la pressione sul sistema sanitario. Analogamente, in Italia, il passaggio della metà dei fumatori a prodotti a basso rischio comporterebbe un risparmio annuo di 700 milioni di euro (circa 600 milioni di sterline) in costi diretti. I costi indiretti, che sono di gran lunga maggiori, sarebbero nell’ordine dei miliardi – anno dopo anno.

La ricerca che ho condotto in Italia presenta il vantaggio di esplorare anche i potenziali risparmi derivanti dalla riduzione dell’eccessivo consumo di alcol (definito come il consumo di oltre mezzo litro di vino al giorno) e dall’aumento dell’attività fisica. Includendo nei calcoli la mitigazione di questi rischi, si potrebbe raggiungere un risparmio superiore a 1 miliardo di euro all’anno. In aggiunta, i risparmi calcolati per il settore sanitario non includono, come per la maggior parte dei lavori presentati in questo incontro, la produttività aziendale che potrebbe essere recuperata, poiché le persone si assenterebbero meno per sottoporsi ad accertamenti e cure mediche. Di conseguenza, il “tesoretto” per potenziare il sistema sanitario potrebbe essere notevolmente più consistente.

I comportamenti ad alto rischio non gravano solo sulla salute pubblica e sull’economia, ma finiscono anche per aggravare tutte le sfide sistemiche che ci ritroviamo, volenti o nolenti, a dover affrontare. Per esempio, la Corea del Sud affronta bassi tassi di fertilità e una società in invecchiamento che aumenterà le spese sanitarie nei prossimi anni. L’Italia è in una situazione simile, anche se non ancora così grave.

Sebbene i politici coreani non possano prevenire l’invecchiamento, possono migliorare le condizioni in cui arriviamo a quella fase della vita. AeSun Shin, esperta di Medicina preventiva presso l’Università Nazionale di Seoul, ha spiegato dettagliatamente le sfide e le opportunità della salute pubblica in Corea. Ridurre i comportamenti dannosi potrebbe diminuire l’incidenza delle malattie, mitigando così gli effetti negativi sulla produttività del lavoro. Prevenire migliaia di casi di malattie, in particolare quelli derivanti da comportamenti di consumo malsani come alcol e fumo, potrebbe potenzialmente ridurre la mancanza di forza lavoro del 21%. Le politiche mirate alle malattie non trasmissibili associate al consumo di questi prodotti offrono significative opportunità di risparmio per il sistema sanitario e potrebbero contribuire a una forza lavoro più sana.

Implementare una tassazione basata sul danno, e favorire alternative meno dannose, incentivando di conseguenza la transizione a sostanze a rischio ridotto, è in linea con le tendenze economiche e sociali internazionali. E, dati alla mano, può migliorare i risultati per la salute pubblica. Certamente non è la soluzione a tutti i mali della salute pubblica. Ulteriori progressi in quest’area, infatti, sono necessari per affrontare in modo esaustivo le sfide attuali. Allo stesso tempo, è un primo (intelligente) passo che ha un vantaggio fondamentale: costa poco al sistema nazionale.

Incentivare prodotti meno dannosi, tra cui bevande a basso contenuto di alcol, sigarette elettroniche e tabacco riscaldato, potrebbe essere uno strumento utile per ottenere migliori risultati in termini di salute pubblica. Come spiegato in maniera molto chiara dal Professore Joan Madia che lavora alla prestigiosa Università di Oxford, abbiamo a che fare con abitudini difficili da estirpare. Gli esseri umani, tutti noi, siamo esseri proni al rischio. Questo non lo cambieremo. Per usare le sue parole, “le persone non seguiranno nessun tipo di raccomandazione sul rischio. Tutti conosciamo i rischi, eppure ciò non ci impedisce di bere una birra con gli amici al pub”.

La conseguenza di questa osservazione, che ha chiare prove scientifiche ma che è anche figlia del buon senso, è che dobbiamo dunque lavorare per migliorare i risultati sanitari nonostante quei comportamenti rischiosi. E che tale mossa non richiede necessariamente interventi sanitari costosi. La Professoressa Zafeira Kastrinaki ha proposto una soluzione semplice, e rivoluzionaria nella sua semplicità: concentrarsi sulla riduzione di consumi dannosi per diminuire le spese governative e familiari. “Le spese sanitarie sono principalmente guidate dal consumo dannoso, come lo zucchero, o il fumo. Ciò che dobbiamo consigliare ai politici sono misure mirate a minimizzare il consumo dannoso. Misure fiscali ben progettate potrebbero incentivare il consumo di prodotti più sani”.

Nel suo lavoro, presentato in anteprima al forum, la Professoressa afferma che spendere più soldi per la sanità non rende automaticamente le persone più sane. Un sistema che spende senza riflettere, infatti, si focalizza principalmente ad affrontare gli effetti finali delle abitudini negative. Per assurdo, potremmo rischiare di rafforzare quei comportamenti negativi. Se, invece, ci concentriamo a monte, riducendo l’uso di sostanze dannose, possiamo migliorare la salute e risparmiare denaro.

Dovremmo tassare di più i prodotti più dannosi, cosi da incoraggiare le persone a scegliere opzioni più sane. Quando non tassiamo i prodotti adeguatamente, non riduciamo il loro consumo. Anzi, di fatto finiamo per creare un sistema perverso in cui incentiviamo i prodotti più dannosi a discapito di quelli meno dannosi. Potremmo anche anche stabilire regole, come limitare la quantità di zucchero in determinati prodotti, per ridurre acquisti impulsivi. Pensiamo, per esempio, a tutti quei prodotti utilizzati da milioni di bambini ogni giorno.

Anche in Italia è stata introdotta la tassa sullo zucchero. Dopo un percorso legislativo piuttosto complesso, sembrava pronta per essere attuata. Al di là della struttura della tassa (un argomento fondamentale, ma da affrontare in un altro momento), mi è dispiaciuto vedere che, purtroppo, è stata nuovamente posticipata. Questa volta al 2025. Forse.

“Non solo il fumo, il consumo di zucchero e l’eccessivo consumo di alcol hanno un elemento di dipendenza, ma anche la dipendenza digitale gioca un ruolo importante nella salute e nel benessere”. La Professoressa Asieh Tabaghdehi della Brunel University sta attualmente conducendo uno studio sulla dipendenza digitale dei giovani e sul suo effetto sul benessere e sulla preparazione della futura forza lavoro per l’economia e la società. L’impegno digitale è diventato eccezionalmente alto tra i bambini, e la Dott.ssa Tabaghdehi attribuisce questa tendenza a fattori ambientali e al design degli algoritmi.

“In secondo luogo, in termini di design degli algoritmi, è urgentemente necessaria una revisione degli standard dei social media e della produzione digitale etica per affrontare il design dei servizi online. Implementare il ‘giusto’ quadro regolamentare non è banale. Sebbene le tasse siano considerate lo strumento normativo più efficace, la sola tassazione potrebbe non essere lo strumento più efficace nell’area dei beni dannosi. Limitarsi a tassare i beni malsani il più possibile, senza limiti, e senza offrire alternative, finisce discrimina i gruppi sociali vulnerabili”.

La ricerca della Prof.ssa Catia Nicodemo, dell’Università di Oxford, rivela che le c.d. tasse punitive gravano in modo sproporzionato sui poveri, che spendono l’11% del loro reddito disponibile per le tasse sui peccati, come vengono definite in inglese. Di conseguenza, sostiene la necessità di rivalutazione delle politiche fiscali, suggerendo che i prodotti di minor danno, che offrono un’alternativa a quelli più dannosi, dovrebbero essere tassati in modo diverso, o non essere tassati affatto.

La Prof.ssa Nicodemo sottolinea la necessità di una tassazione proporzionata al rischio, affermando: “Sigarette e sigarette elettroniche non sono la stessa cosa. Quindi dovremmo avere una tassazione proporzionata al rischio per spingere le persone a passare dai prodotti ad altissimo rischio a quelli a basso rischio.” Inoltre, ritiene che aumentare la consapevolezza e la conoscenza dei consumatori sui prodotti a rischio ridotto sia imperativo per il Governo, cosi da permettere al consumatore di passare coscientemente da prodotti più dannosi a prodotti meno dannosi. La Prof.ssa Nicodemo sostiene che queste alternative più sicure dovrebbero essere tassate in modo diverso a causa del loro potenziale per ridurre i costi sanitari a lungo termine e del loro impatto minimo sull’esposizione al fumo passivo.

In sintesi, per risolvere un problema diffuso e che ogni giorno ha nuove ramificazioni, dobbiamo pensare (certamente) a come migliorare l’efficienza del sistema nazionale. Ma questo non è, da solo, sufficiente. Dobbiamo, invece, pensare in maniera moderna, senza ideologie vuote, investendo sul cambiamento di domanda e offerta, al fine di risolvere un problema che non sparirà da solo.

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