Migliorano le condizioni del piccolo Eitan, il bimbo di 5 anni unico sopravvissuto alla sciagura del Mottarone. Un colpo di tosse, qualche movimento, gli occhi dischiusi di un primo risveglio… tutti segnali di un ritorno alla vita che i medici guardano con ottimismo, pur procedendo con massima cautela. Il mondo intero segue in queste ore ogni palpito, ogni fremito del piccolo che pare si sia dimenato in preda allo smarrimento: “Lasciatemi stare, ho paura”. Un lamento istintivo, ancora inconscio di tutta la tragedia vissuta, di quegli istanti eterni nel precipizio senza scampo verso un destino che avrebbe improvvisamente spezzato la vita, tante vite.
Ma per Eitan il respiro riprende e il chiarore di un giorno nuovo ridarà nuovi contorni alle cose che imparerà a riconoscere con occhi diversi, riscoprendone i colori in una lenta fuoriuscita dal buio, come in una nuova nascita. A riprenderlo fra le braccia si è detta disponibile la zia paterna, Aya, in Italia con il marito Nirco da 17 anni e pronta a fargli da mamma. Anche per lei si apre un cammino nuovo, una sorta di totale conversione dello sguardo verso un orizzonte diverso e inimmaginabile, come ha suggerito: “La vita è troppo breve. Voglio cambiare tutto, non so ancora come”.
Il nuovo inizio mette a fuoco la brevità dell’esistenza, la vera “tragedia” della vita, così preziosa da lasciare un vuoto incolmabile quando finisce, ma fragile nella sua speranza connaturata che tuttavia si assottiglia fino all’inconsistenza sotto i colpi di un dolore atroce.
Eppure un segno di speranza sembra riconoscibile oggi di fronte a Eitan, strappato alla morte dall’abbraccio di suo padre che lo ha stretto a sé facendogli da scudo e attenuando per lui l’urto devastante. Questa spiegazione plausibile, avanzata dai medici che sono riusciti a intervenire constatando una prognosi che sembra favorevole, mette in luce una contingenza incancellabile, che rappresenterà per Eitan il perno di un racconto altrimenti tragico. Generato due volte, diverrà sempre più consapevole di come quei minuti sciagurati e crudeli del terribile incidente restano per sempre attraversati da un indomabile bene, da un prepotente attaccamento alla vita, dall’amore che deborda, che salva. E potrà forse riconoscere, in quell’abbraccio di suo padre, un’eredità, il segno di una paternità più grande, la paternità di Dio che non tradisce, non delude, ma genera la vita che non muore.
Separati dal Cielo, anche la promessa di una giornata solare, immersa nella bellezza di un paesaggio incantevole, fra gli affetti delle persone più amate, sembra destinata al nulla, a un tempo comunque “troppo breve” secondo una percezione del tutto realistica che si cerca di eludere come un pensiero fastidioso, sempre da allontanare.
Ed ecco che nel dolore e nello smarrimento più profondo un’intuizione folgorante prende il sopravvento: “La vita è troppo breve. Voglio cambiare tutto, non so ancora come”. Proprio chi ora desidera un bene difficile da prefigurare, una felicità che con le sole forze umane sa di non poter immaginare per il nipote di 5 anni miracolosamente recuperato alla vita, ma posto di fronte all’improvviso e definitivo distacco dalla mamma, dal papà e dal fratellino che non potrà più riabbracciare, avverte l’urgenza di una svolta, la vertigine di una domanda. E potrebbe scoprire un Mistero che interpella, un Dio che è Padre, che conosce il cuore umano, il suo dolore, e sa come guarirlo.
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