La migliore notizia arriva ancora una volta dall’ospedale di Torino: l’unico sopravvissuto alla tragedia della funivia Stresa-Mottarone, il piccolo Eitan Biran, è finalmente fuori pericolo. «Le condizioni sono in significativo miglioramento e la prognosi è stata sciolta», spiegano fonti dell’ospedale Regina Margherita all’ANSA. La zia Aya, sorella del papà di Eitan, sui social ha scritto un commosso messaggio che guarda al futuro di questa famiglia travolta e distrutta dall’incidente: «Ciao Amit, riposa in pace, realizzeremo i sogni che avevi per Eitan». Tornando invece sul fronte delle indagini, gli inquirenti della Procura di Verbania avrebbero come possibile nuovo indagato un operaio citato da un dipendente-testimone durante gli interrogatori: sarebbe questo lavoratore che in quella sciagurata domenica mantenne i ceppi sulla cabina 3 “su autorizzazione” del capo servizio Tadini. Quello stesso operatore è anche l’unico ad aver confermato ai pm che fu il caposervizio a dargli l’ordine ma che aveva più volte discusso col gestore Nerini e col direttore Perocchio perché Tadini avrebbe voluto “chiudere” l’impianto e gli altri due non volevano per “motivi economici”.



Si tratta di un personaggio divenuto chiave in quanto l’unico a “confermare” la fornita da Tadini negli interrogatori: per questo motivo, al termine delle nuove analisi sui reperti della funivia, il primo ad essere indagato potrebbe proprio essere tale operatore per capire meglio cosa sia davvero successo. Quello che ancora è un mistero è invece il “giallo” della testa fusa: è quello il punto di rottura del cavo traente che ha generato l’intera tragedia (assieme al parallelo e scellerato inserimento del forchettone per disattivare i freni di emergenza). Secondo le analisi della scientifica, il punto di distacco è stato individuato vicino alla “testa fusa”, ovvero al carrello della cabinovia: restano al momento due sostanziali ipotesi su come si sia rotto il cavo, la prima è la possibile usura dei fili metallici anche se resta difficile crederlo visto che ci vogliono anni prima che si sfilacci del tutto ed è un elemento completamente a vista quasi impossibile da non notare. La seconda ipotesi invece è che la fune avesse forti problemi di tensione e che si sia strappata a causa di uno “strattone” più violento che ne avrebbe determinato il crollo. Anche in questo caso però è un evento di assai rara portata, quasi impossibile secondo gli esperti.



PEROCCHIO: “A SAPERLO BLOCCAVO TADINI”

Stamane la procuratrice di Verbania Olimpia Bossi ha annunciato ulteriori analisi – definite “irripetibili” – su fune e freni della funivia precipitata ormai una settimana fa sul Mottarone: «Io devo ancora chiarire con i consulenti tecnici quali saranno le modalità di questo accertamento irripetibile. Solo dopo faremo gli avvisi di garanzia». Nuovi potenziali indagati arriveranno dunque solo una volta esercitate le analisi specifiche per capire cosa e come sia potuta tranciarsi la fune traente della funivia di Stresa: «Io non sono ancora in grado di dire perché si è verificato questo evento», ha spiegato ancora la procuratrice di Verbania, «Proprio per questo ci sarà una consulenza tecnica con la forma degli accertamenti irripetibili».



Gli accertamenti irripetibili sono finalizzati «a capire perché la fune si è rotta e si è sfilata, e se il sistema frenante aveva dei difetti, e da queste analisi si vedrà se emergeranno anche altre responsabilità». Su “La Stampa” oggi ha invece parlato per la prima volta dopo la scarcerazione l’ingegnere Enrico Perocchio, direttore tecnico della funivia: «Non ho mai ricevuto da Nerini pressioni perché si girasse in condizioni non regolari». In merito al perché però il caposervizio Tadini possa aver compiuto la scelta scellerata di manomettere i freni, Perocchio ribadisce «Non sono nella sua testa, non posso saperlo. Se lo avessi saputo lo avrei bloccato prima […] Si farà luce su come sia potuto accadere, ma so con certezza che da noi le manutenzioni su funi e testa fusa erano a posto».

TADINI: “MI HANNO DETTO ‘VAI AVANTI’”

«Nessuno mi ha detto di andare avanti con il sistema frenante disattivato, ma mi hanno detto comunque vai avanti», così avrebbe detto Gabriele Tadini nel verbale riportato dal gip nell’ordinanza di carcerazione ai domiciliari per la tragedia della funivia del Mottarone. Il capo servizio, stando alla ricostruzione offerta da lui medesimo nell’interrogatorio, la mattina della tragedia per ben due volte chiama la manutenzione per guasti: «Sostanzialmente in 20 giorni ho chiamato tre volte l’assistenza. A Perocchio (direttore di esercizio e dipendente della Leitner che si occupa della manutenzione) ho detto che andavo avanti con i forchettoni e lui non mi ha risposto. (…). Poteva immaginarlo che sarei andato avanti senza sistema di emergenza. Ho detto a Nerini (gestore dell’impianto) al telefono che mettevo i ceppi. Tre volte gliel’ho detto». Ma il suo “tutti sapevano” non viene al momento ritenuto credibile dalla gip, sentiti anche alcuni operai e dipendenti che sembrano smentire la ricostruzione di Tadini: «Secondo la mia esperienza per la velocità della vettura durante la fase di rientro, un solo freno avrebbe potuto fermare la vettura…», spiega amor uno operaio interrogato dalla giudice di Verbania (e riportato insieme ad altri stralci dall’Adnkronos). Di tutti i cinque operai sentiti il 25 maggio, due giorni dopo la tragedia, tutti affermano alla Procura che i forchettoni, due per ogni cabina, «vengono posizionati su disposizione del capo servizio che o lo fa personalmente o lo delega a uno degli operatori in maniera indistinta».

GIP: “PRESTO NUOVI INDAGATI”

Mentre due dei tre indagati tornati liberi di fatto scaricano ogni responsabilità sulla condotta di Tadini, le indagini sulla funivia del Mottarone potrebbero essere davanti ad un’ennesima svolta: a breve infatti potrebbero essere iscritti nel registro degli indagati anche altri dipendenti della società che gestisce la funivia Stresa-Alpino-Mottarone. A dirlo oggi è stata la procuratrice di Verbania: «Valuteremo in che termini sapevano dell’uso dei forchettoni. Valuteremo se hanno consapevolmente partecipato o se si sono limitati ad eseguire indicazioni provenienti dall’alto».

Il sospetto degli inquirenti è che comunque vi siano stati gli estremi per rifiutarsi di quel presunto ordine di manomettere i freni d’emergenza. Dopo la scarcerazione di Nerini e Perocchio, la pm Bossi non parla di sconfitta nelle indagini, «perché l’aspetto più importante è che il giudice abbia condiviso la qualificazione giuridica dei fatti». Dalle testimonianze e dalle ricerche fatte finora dalla Procura di Verbania emerge come gli addetti alla funivia sapevano perfettamente della prassi di Tadini di lasciare inseriti di ceppi per bloccare i freni, ma «forse potevano rifiutare di assecondarla»: lo riporta l’Agenzia ANSA, ricavandolo dall’ordinanza con cui il gip di Verbania ha disposto i domiciliare per il capo servizio della funivia sul Lago Maggiore. Vi è anche una seconda “tirata d’orecchi” alla Procura quando la gip scrive di un manovratore che ha preso servizio il 23 maggio, giorno della tragedia, «mai avrebbe dovuto essere sentito come persona informata sui fatti, dopo le dichiarazioni assunte prima delle sommarie informazioni rese da Tadini». Parallelamente proseguono ancora le indagini sulle cause che hanno portato alla rottura del cavo trainante a cui la strage si è poi “compiuta” vista la scellerata decisione di rendere “inattivi” i freni di emergenza.

FUNIVIA: 2 SCARCERATI, IL TERZO AI DOMICILIARI

Dei tre arrestati per la strage sulla funivia Stresa-Alpino-Mottarone solo il capo servizio dell’impianto Gabriele Tadini viene trasferito ai domiciliari, mentre per il gestore Luigi Nerini e il direttore dell’esercizio Enrico Perocchio il gip non ha convalidato il fermo. Dopo una ulteriore giornata di interrogatori avvenuta ieri, la gip Donatella Banci Buonamici ha deciso che per nessuno dei tre indagati vi sarebbero i gravi indizi necessari per una misura cautelare in carcere: se però per Tadini le accuse restano in quanto l’unico reo-confesso, per gli altri due la situazione si complica dato che hanno smentito su tutta la linea di esser stati a conoscenza della manomissione del freno di emergenza compiuto dal capo servizio per poter far continuare a funzionare senza blocchi la funivia sul Mottarone.

«Allo stato iniziale delle indagini i gravi indizi di colpevolezza che possano giustificare un provvedimento di custodia cautelare sussistono unicamente nei confronti di Gabriele Tadini», si legge nell’ordinanza di arresti domiciliari disposti per il capo servizio del Mottarone.

INDAGINI FUNIVIA, LE TESTIMONIANZE

Al momento, conclude la gip, «della richiesta di convalida del fermo e di applicazione della misura cautelare, la totale mancanza di indizi a carico di Nerini e Perocchio che non siano mere, anche suggestive supposizioni». Per Tadini stesso comunque il quadro indiziario «è stato ancora più indebolito» e quindi sono scattati i domiciliare: per lui, che ha ammesso di aver inserito i forchettoni” per disattivare i freni di emergenza, non sono state credute le accuse lanciate contro gli altri due indagati. Tadini, «che sapeva bene che il suo gesto scellerato aveva provocato la morte di 14 persone» per questo avrebbe condiviso «questo immane peso, anche economico con le uniche due persone che avrebbero avuto la possibilità di sostenere un risarcimento danni», scrive ancora la gip di Verbania: «in correità i soggetti forti del gruppo, per attenuare le sue responsabilità». Dalle testimonianze rilasciate alla gip – che con questa ordinanza di fatto contesta i fermi adottati dalla pm Laura Carreri e dal procuratore capo Olimpia Bossi – emerge come gli operai della funivia vedono in Tadini l’unico vero responsabile: «E’ stato Tadini a ordinare di mettere i ceppi. L’installazione di questi ceppi è avvenuta già dall’inizio della stagione di quest’anno, esattamente il 26 aprile. Vi era infatti un problema all’impianto frenante della cabina numero 3, per cui era stato richiesto l’intervento di una ditta specializzata, che però non aveva risolto il problema». Ancora gli operai al gip spiegano, riporta Adnkronos, di aver sollevato la problematica con Tadini ricevendo però come risposta «Prima che si rompa una traente o una testa fusa ce ne vuole‘. Ricordo bene queste parole, a queste parole non ho replicato anche perché è lui il mio responsabile. […] Nerini? Nerini ascoltava solo quello che gli diceva Gabriele Tadini». Resta ancora da capire cosa possa aver causato la rottura della fune, elemento che pare non legato alla scellerata scelta di inserire i “forchettoni”.