C’è una lettura ideologica della strage del Mottarone che, col passare delle ore e il delinearsi delle responsabilità, rischia di prendere il sopravvento. Questa lettura vede nei tre principali indagati, il proprietario della rete, il direttore della funivia e il capo operativo del servizio, un’eccezione, un abominio quasi impossibile dell’umano.
I tre erano infatti consapevoli – per loro stessa ammissione – della manomissione del sistema frenante delle cabine dell’impianto, atto premeditato nel deliberato tentativo di aggirare i malfunzionamenti registrati nei controlli delle settimane precedenti. Come può il cuore dell’uomo tramare deliberatamente tanto male?
L’uomo è disponibile ad ammettere di essere peccatore, ma si rifiuta di considerarsi cattivo. Ciascuno si crede e si racconta le cose affidando a se stesso sempre la parte del buono, la parte di chi ha ottime ragioni per comportarsi in modo incoerente o non conforme all’evidenza del bene conosciuta dal cuore. L’uomo si giustifica; addirittura la condivisione del terribile segreto avrebbe creato tra i tre l’illusione di una protezione maggiore, di una garanzia ancora più esplicita dell’assoluta inoffensività delle loro scelte. Il non essere i soli a fare le cose e l’avere argomenti che giustifichino l’eccezione morale ad un determinato comportamento – fosse pure un dolore o un mancato guadagno, un’ingiustizia o un dispiacere – sono le premesse che possono trasformare chiunque in un convinto criminale.
Pensare che quei tre signori siano un’eccezione del genere umano, uno sbaglio di fabbrica in mezzo a tanti uomini dotati di coscienza, è segno non solo di ingenuità, ma anche di dimenticanza di una delle pagine più drammatiche della Bibbia, ossia quella del diluvio universale narrato in Genesi. Dio, sconcertato dal fatto che ogni disegno elaborato dal cuore dell’uomo fosse malvagio, si ricrede e decide di sterminare il genere umano, decide di dar credito al proprio scandalo, di fare giustizia e dare giustizia per il tanto male visto. Ma c’è un punto in tutta questa storia che fa saltare il piano di Dio: Noè. Egli non rientra nelle mostruose casistiche umane condannate dal disgusto divino, egli è diverso. Quella diversità, l’esistenza di quella diversità, tormenta il Signore che – misteriosamente – decide di salvarlo.
La lettura ideologica della strage del Mottarone non nasce dall’amara constatazione del male perpetrato, non nasce dalla legittima richiesta di giustizia, non nasce dallo sconcerto e dalle lacrime per 14 vite distrutte e 5 famiglie annientate. La lettura ideologica della strage del Mottarone nasce dal fatto che nessuno cerca più Noè, che nessuno cerca più il punto dove – invece – l’umano tiene e sorprende. A volte siamo così accecati dalle nostre ragioni, così confortati dal nostro dolore, così sostenuti dai nostri amici nelle nostre legittime e inoppugnabili giustificazioni che ci dimentichiamo di cercare Noè, il punto dove tutto ricomincia, il punto dove un Altro riparte. Vogliamo così tanta giustizia che non ci accorgiamo neppure che qualcosa ha già manifestato quello cerchiamo.
Il miracolo di Eitan, il bimbo che sta drammaticamente emergendo da questa storia, non è solo uno scampolo di bene in un mare di mestizia, bensì il segno di Qualcos’altro all’opera. Il male di quegli uomini chiede di essere riconosciuto, punito, stigmatizzato senza appello. La loro tracotanza merita di ricevere la giusta risposta da parte di una società che non può tollerare una simile condotta. Ma il nostro cuore che sanguina, oltre ad interrogarsi su come sia in fondo possibile per tutti essere miserabili e cattivi, oltre che perdersi nell’indicibile abisso del male e indignarsi, ha bisogno di un altro passo, ha bisogno di un’altra cosa. Ha bisogno di cercare Noè.
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