STRESA – Funivia Mottarone. Non si parla d’altro, soprattutto quando non si parla. Gli occhi bassi e le parole che mancano. Questa volta la chiacchiera non è possibile e anche il minuto di silenzio sembra poco. Quando la morte ti entra nel cuore non si può che tacere. Ma che cosa vuol dire tutto questo? Davanti a un paesaggio mozzafiato in cui la bellezza dell’essere ti invade tutto: il precipizio e la fine. Viene voglia di gridare. Il Ponte Morandi, il Covid e ora la funivia che cade giù. Una cosa bruttissima che colpisce con un colpo maligno e cattivo il bello che c’è.



E poi le storie: tante e segnate dall’incontro con l’incomprensibile gravità della vita. Il professore con il figlio di sei anni che non è entrato nella cabina caduta, perché i posti contingentati erano stati raggiunti un attimo prima. E la giornalista in lacrime davanti ai corpi nel bosco. Scrive in tarda ora su Facebook il suo dolore e non trova sonno né pace. O il soccorritore, straziato dalla scena, che ha trovato la forza per aiutare non si sa da dove. E il grido non finisce, ma diventa domanda e ti aspetta al varco. A tempo e a luogo.



Gli alunni con i loro occhi ti guardano e ti cercano. Cercano non te, ma tu: chi sei tu, non cosa dici. Il loro sguardo non è muto. Ci sono i lucciconi. Si vedono con emozione intensa e contenuta. Attendono, ora, non discorsi e spiegazioni, ma una via. Dove portare quello sguardo triste?

Qui a Stresa, vicino a un bar, invece, alcuni discutono sui problemi tecnici che hanno causato il disastro. C’è sempre quello più informato e tecnicamente colto che ne sa di più: cattura l’attenzione di tutti e i consensi tristi. Ma anche quell’interesse muore ben presto. Troppo grande, troppo grave, troppo dura. Non si può contenere. Che cosa ci vuole allora?



È stato importante un certo acquietamento temporaneo attraverso il comunicare, sentire gli amici e vedere che “stanno bene”. Una strategia consolatoria che dura poco però. E qualcuno, poi, ti risveglia e ti chiede il senso di quello che è accaduto proprio in un giorno speciale: Pentecoste. Un crollo, uno spalancarsi nel basso. Poi guardi le immagini della Tv, che non dicono tutto per fortuna. Come si fa a reggere tanto dolore? Meglio cambiare canale e trasmissione. Si sa che l’uomo non sopporta troppa realtà. Una partita di calcio, perciò, la si trova sempre o un programma comico.

Ma il pensiero torna lì, perché la realtà ti punge con forza e ti tocca al cuore. Ci vuole altro per ricominciare. Occorre qualcosa che ti dica anche solo sommessamente che la vita continua, ma non più come prima.

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