Era solo questione di tempo: Arcuri viene rimosso e come commissario all’emergenza arriva Francesco Paolo Figliuolo, generale degli Alpini. “La Difesa è pronta a rimodulare, d’intesa con le autorità sanitarie, le attività dei Drive Through per concorrere alla campagna di vaccinazione” aveva detto poco prima della nomina il ministro della Difesa Guerini, una dichiarazione che è diventata chiara quando il gen. Figliuolo è stato visto prima entrare e poi uscire, mezz’ora dopo, da un ingresso secondario di Palazzo Chigi.
Figliuolo, comandante dal 2014 della forza Nato (Kfor) in Kosovo, ha guidato la Taurinense e dal 2018 è responsabile logistico dell’esercito. Ha organizzato il supporto dell’esercito durante tutta la pandemia, dal rimpatrio degli italiani da Wuhan fino all’allestimento dei 142 punti di effettuazione tamponi (Drive Through) e alla fornitura alle regioni, in condizioni di sicurezza, dei vaccini provenienti dall’estero.
La Difesa è dunque pronta all’utilizzo delle forze armate nella vaccinazione di massa, il cui piano è stato predisposto dallo stesso gen. Figliuolo. Al nuovo commissario si affianca la Protezione civile, dove Fabrizio Curcio ha sostituito Angelo Borrelli. Una netta discontinuità rispetto al precedente governo, che aveva in Arcuri l’unico factotum dell’emergenza. Di lui restano il fallimento del piano vaccinale, il fallimento del piano di assunzione di nuovi medici e infermieri, il fallimento del tracciamento (app Immuni), e un’inchiesta – nella quale Arcuri si dichiara parte lesa – sulla fornitura di 800 milioni di mascherine cinesi per 1,25 mld con commissioni milionarie agli intermediari.
“Il piano vaccini vale il 70 per cento dell’immagine del governo” dice Stefano Folli, editorialista di Repubblica. “E Draghi va avanti, con la sua strategia anti-retorica del passo per volta”. Il licenziamento di Arcuri è per Folli l’inizio “di una fase in cui il governo Draghi accentua il suo profilo politico”.
La sostituzione di Arcuri risponde più ad una necessità politica o di governo dell’emergenza?
Tutt’e due le cose. C’è la necessità politica, quella di affermare la discontinuità con Conte, e che l’abbia richiesto il centrodestra non mi sembra la cosa principale. E poi c’è la necessità del nuovo governo di dare un segnale, tecnico e politico, che si volta pagina.
Il piano vaccinale Arcuri-Conte non ha mai funzionato. Forse neppure c’era.
Il governo deve affrontare la questione vaccini con una forza d’urto incontestabile. Non vuol più dire solo approvvigionamenti, ma inoculazione di massa. Insomma efficienza a tutti i livelli.
Lei non ha l’impressione che lo stesso Draghi sia stato spiazzato dal dover cominciare praticamente da zero?
Questo non lo so. So però che ci sono due snodi sui quali si decide il successo del governo. Uno è il Recovery Plan, con la credibilità che ne viene dal predisporre piani seri di spesa e investimenti. L’altro è la vaccinazione anti-Covid.
Quanto pesano entrambi?
Il piano vaccini vale il 70 per cento dell’immagine del governo. È il più urgente, perché è qualcosa che l’opinione pubblica percepisce immediatamente, mentre il Recovery avrà ripercussioni solo nel tempo.
Lei ha scritto che Draghi sta “prendendo ispirazione dal Regno Unito che non è stato schiacciato dalla Brexit”. Questa anzi ha permesso a Londra di rispondere efficacemente. Se aggiungiamo gli errori dell’Ue, che cosa possiamo ricavarne?
Seguire pedissequamente il tracciato europeo fa di noi degli ottimi europeisti, che però si rivelano scarsi nell’affrontare l’emergenza sanitaria nazionale. È apparso chiaro che ogni paese deve rispondere con i propri mezzi e sotto questo aspetto l’esempio inglese è significativo: Johnson ha affrontato l’emergenza con la libertà e i margini che gli sono permessi dal non essere vincolato dall’Europa. Per quanto ci riguarda, vuol dire che il coordinamento comunitario non ci deve e non ci può impedire, alla bisogna, di agire da soli.
Vanno in questa direzione l’iniziativa Draghi-Giorgetti su Farmindustria e l’inizio della sperimentazione del vaccino Takis, interamente italiano?
Sì, e tutto quello che ne può venire è positivo. Il problema è che questa situazione andava affrontata 5-6 mesi fa. La discontinuità che stiamo vedendo è lo stile di Draghi: un passo alla volta, senza retorica.
Arcuri è stato sostituito ben prima della scadenza. Quale sarà il prossimo passo?
Sicuramente il Recovery.
Che procede avvolto nel silenzio.
Fa parte del metodo: si parla poco e si agisce, in tempi stretti perché non possiamo arrivare in ritardo. Soprattutto non possiamo sprecare soldi e non possiamo dare l’immagine del paese più sprovveduto d’Europa, quello che quei soldi non sa come spendere.
Arcuri era anche un simbolo del contismo. Che effetti ha la sua uscita su un ministro-chiave come Speranza?
Difficile dirlo. Arcuri era più legato a Conte, Speranza è più vicino a uomini come Ricciardi, quindi se ci sarà una ripercussione negativa sarà sull’immagine e sull’eredità di Conte. L’ex capo del governo ha coltivato l’idea del personaggio popolarissimo che esce di scena per un tradimento, ma l’immagine che gli restituisce Arcuri è molto più negativa, soprattutto se dovessero emergere dall’inchiesta altri aspetti oscuri che lo riguardano.
Non c’è solo Conte. Arcuri ha guidato Invitalia sotto nove governi, dal 2007 in poi. Il Tempo ha appena scritto che con il suo allontanamento D’Alema è davvero fuori da Palazzo Chigi. Che ne pensa?
Grazie a Conte, tante figure di oggi e di ieri del Pd hanno trovato margini di manovra per continuare a gestire un loro potere; un potere magari indiretto, ma sempre rilevante. Con l’uscita di Arcuri, tutto questo finisce. Non è un tornante solo simbolico.
Cosa intende dire?
Comincia una fase in cui il governo Draghi accentua il suo profilo politico, perché l’allontanamento di Arcuri è una mossa prettamente politica oltre che operativa. In questo modo, Draghi fa saltare i puntelli della precedente gestione, non solo quella di Conte.
La scelta del generale Figliuolo mette a fianco di Curcio e della Protezione civile, che è regionalizzata, una macchina fortemente centralizzata dello Stato come quella dell’esercito. Questo che cosa le suggerisce?
Che va ripensata l’architettura dello Stato. Sono favorevole a un decentramento intelligente, però è chiaro che uno governo centrale debole e un decentramento sfilacciato hanno prodotto un fallimento gestionale generale. Andrebbe trovato un equilibrio nuovo tra centralismo e regionalismo.
(Federico Ferraù)