Il generale Gantz, prima all’opposizione e ora al governo, se lo contendono tutti. Gli Usa lo vedrebbero bene al posto di Netanyahu, mentre Lapid, alla guida del maggiore partito di opposizione, lo vorrebbe con sé per proporre un’alternativa al premier. E nonostante il dibattito politico sia molto animato, alla fine, almeno per ora, tutto rimarrà com’è, con il centrodestra a tenere le redini di un Paese impegnato nella campagna militare per neutralizzare Hamas a Gaza.



Nessuno, però, spiega Filippo Landi, già corrispondente Rai da Gerusalemme e poi inviato del Tg1 Esteri, si pone veramente il problema di una soluzione politica della questione palestinese, senza la quale i Paesi arabi non finanzierebbero la ricostruzione di una Striscia che potrebbe tornare in balìa di un altro intervento militare di Israele.



E anche un’eventuale forza internazionale da inviare con funzioni di peacekeeping per gestire il dopoguerra, come proposto da Usa e Ue, rischierebbe di venire vista come una forza di occupazione, finendo nel mirino della guerriglia. Per questo sulla stampa israeliana qualcuno comincia a chiedere un cambio di rotta del Paese nell’approccio ai palestinesi, anche se il momento non è dei più propizi.

Lapid ha chiesto di sostituire Netanyahu, nei confronti del quale rimangono forti critiche per non aver saputo prevedere l’attacco del 7 ottobre: quanto è stabile l’attuale governo e quanto rischia lo stesso premier?



Lapid, capo del maggiore partito di opposizione al precedente oltre che all’attuale governo Netanyahu, detto di unità nazionale pur non comprendendo tutti i partiti, ha rotto il silenzio dicendo che il primo ministro deve dimettersi. Lo ha fatto perché si è aperta una prospettiva che riguarda anche l’opposizione al premier, che in questo momento è divisa: in parte è guidata dal generale Gantz ed è entrata a far parte del governo, in parte fa capo a Lapid ed è rimasta ostinatamente fuori dalla nuova formazione governativa chiamata a gestire la risposta all’attacco di Hamas. Gantz recentemente ha fatto sapere che non era intenzionato a sostituire Netanyahu nel caso in cui quest’ultimo avesse fatto un passo indietro, una dichiarazione che ha preoccupato una parte della minoranza perché con l’appoggio di Gantz Netanyahu potrebbe rimanere in sella anche nei prossimi mesi.

Ma perché Gantz si è rifiutato di sostituire il premier?

Per prima cosa perché Netanyahu non ha nessuna intenzione di dimettersi, nonostante sia consapevole delle critiche nei suoi confronti, poi perché ha fatto capire che ci sono delle pressioni da parte degli Usa per fare in modo che Netanyahu si faccia da parte e lui lo sostituisca. Le pressioni su Gantz, d’altra parte, vengono pure dall’opposizione, che vorrebbe che si dimettesse dal governo di unità nazionale per permettere una vera alternanza al potere, con l’ipotesi anche di elezioni anticipate.

Lapid vorrebbe Gantz in un governo insieme a lui?

Per Lapid è una necessità numerica. Il partito di Gantz è uscito dalle urne come il secondo dell’opposizione, ha perso seggi ma ha ancora una sua consistenza. È un partito di centro di cui c’è bisogno per andare avanti. L’appoggio di Gantz a Netanyahu, invece, non è indispensabile numericamente perché la maggioranza di centrodestra ha i suoi 64 voti, però in una prospettiva elettorale difficilmente potrebbe restare in sella senza di lui. Una situazione molto delicata, in cui ognuno si gioca il suo futuro politico: Lapid vuole rilanciare l’opposizione, Gantz vuole rimanere con il governo (già anni fa, d’altra parte, fece un accordo con Netanyahu rompendone uno con Lapid) mentre Netanyahu non intende fare passi indietro.

C’è la prospettiva di creare un governo più di centro, che sia sull’asse Netanyahu-Gantz o su quello costituito da quest’ultimo e da Lapid, oppure la destra che ora siede al governo va tenuta comunque in considerazione?

La prospettiva di medio termine è un nuovo governo senza Netanyahu, che gli garantisca un’uscita politica che non lo porti in prigione in seguito ai suoi guai giudiziari. In questo contesto la partita vera si gioca su chi dovrebbe succedere a Netanyahu sul medio termine. È evidente che Gantz punti a fare il primo ministro e la sua entrata nel governo di unità nazionale manifesta la disponibilità a varare un esecutivo post Netanyahu insieme al centrodestra tradizionale, con il Likud, i partiti di Smotrich e Ben Gvir più il suo. Lapid, invece, rivendica la percezione che non solo Netanyahu ma anche la destra non sia adeguata a sostenere il post Gaza. Un calcolo che potrebbe rivelarsi fallace: la maggioranza dell’opinione pubblica è arrabbiata con Netanyahu per la sua incapacità, ma al contempo non sembra contraria all’espulsione di 2 milioni e 200mila palestinesi dalla Striscia. E sembra indifferente a quello che sta succedendo in Cisgiordania con la migrazione giornaliera dei palestinesi innanzitutto dai villaggi. Si scontra, quindi, con un’opinione pubblica che non pare contraria a spingere i palestinesi fuori dalla Palestina.

Che tipo di soluzione potrebbe accettare l’elettorato israeliano per il futuro di Gaza e della Palestina? Usa e Ue hanno proposto che il territorio della Striscia nel dopoguerra sia gestito da una forza di pace internazionale di 20mila uomini: un’ipotesi che potrebbe essere assecondata dalla gente?

Le posizioni dell’opinione pubblica israeliana sono variegate: si passa dall’espulsione dei palestinesi al controllo militare permanente degli israeliani, all’ipotesi di affidare un ritiro dalle macerie di Gaza (dove oggi le abitazioni di un milione di persone sono distrutte) alla comunità internazionale, riversando su di essa il costo di questa operazione, compresa la ricostruzione: parliamo di decine e decine di miliardi di dollari da caricare soprattutto sui Paesi arabi. Gli Usa non penso possano garantire la ricostruzione di Gaza dopo che c’è già quella dell’Ucraina in lista d’attesa.

La presenza di una forza di peacekeeping allora potrebbe essere assecondata da Israele?

Sì, perché si scaricherebbero di un peso. Il problema vero, tuttavia, è quello che ha fatto presente Abu Mazen: dalla vicenda di Gaza non si esce senza una soluzione politica che riguardi Gaza, Gerusalemme Est e la Cisgiordania. Netanyahu, Gantz e forse lo stesso Lapid preferiscono mantenere lo status quo. Nessuno ha proposto di intavolare una trattativa, né di affrontare il tema di Gerusalemme, che è uno dei cardini della vicenda: tutti dicono solo che deve essere la capitale di Israele e basta. Su quello che è accaduto negli ultimi quindici anni in Cisgiordania, con l’aumento esponenziale dei coloni, nessuno si espone: i coloni restano lì, non ci sono iniziative di altro tipo se non quelle proposte negli anni scorsi da alcuni movimenti di base israeliani e palestinesi che parlavano di realizzare un Confederazione nel pieno rispetto delle esigenze politiche e civili palestinesi, anche nei confronti di Gerusalemme.

Una soluzione del genere, in questo momento, sarebbe respinta dalla opinione pubblica israeliana?

Nessuno verifica se l’opinione pubblica vuole accettarla o meno. Ci sono articoli sulla stampa per cui la questione palestinese non si risolverà se non cambierà l’approccio israeliano: se la risposta sarà solo militare il futuro dei rapporti israelo-palestinesi non muterà. C’è, comunque, una iniziale riflessione sul fatto che distruggere Gaza non risolva il futuro di Israele. Alcuni si spingono a dire che la vita stessa di Israele ha necessità di un cambio di approccio verso i palestinesi.

Quale orientamento potrebbe prevalere?

Se l’espulsione dei palestinesi a scopi umanitari, con la costruzione di città per ospitarli nel Sinai o in Giordania, non andrà in porto, ben vengano soldati americani o italiani. Il futuro della ricostruzione, tuttavia, si lega a una soluzione politica. I Paesi arabi non intendono ricostruire impegnando miliardi di dollari, come hanno già fatto in occasione di precedenti campagne israeliane, per far rinascere una Gaza che poi Israele possa distruggere nuovamente. Senza una soluzione politica la forza di peacekeeping assomiglierebbe di più a una forza di occupazione, con tutti i problemi di una guerriglia che può rinascere: in Libano ci fu strage di soldati americani negli anni 80 perché venivano percepiti come occupanti. Il terrorismo è difficile da distruggere con gli aerei.

Tornando alle sorti del governo Netanyahu è presumibile che ora si continui con questo esecutivo fino a che non si concludono le operazioni militari?

Sì è ancora nella fase militare, ma soprattutto Gantz sembra molto restio a riunirsi alla vecchia opposizione a Netanyahu. È entrato nel governo e lì vuole rimanere. Per il momento le forze che sostengono l’esecutivo resteranno quelle. La parola d’ordine sembra essere “tirare avanti”.

(Paolo Rossetti)

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