La piccola Furiosa, in giro nel giardino dell’Eden, sopravvissuto al deserto globale, viene rapita da un gruppo di squinternati motociclisti a caccia di risorse di sopravvivenza. È una preda succulenta, testimone di un’Oasi preziosa, sconosciuta all’universo di bande barbariche che domina il nuovo mondo. Inseguita coraggiosamente dalla madre, finirà nelle mani del sanguinario Dementus, deciso a renderla sua delfina, così piccola e già così determinata nel suo desiderio di fuggire e tornare a casa. Una sfida improba, ai confini del mondo reale e dell’immaginazione.
“Dalla mente geniale di George Miller” recita il trailer (a cui faremmo bene a credere) di un film che agguanta lo spettatore, inquadratura dopo inquadratura. Dopo il redivivo Mad Max: Fury Road, riesumato nel 2015, spunta dal cappello magico del visionario regista australiano, oggi settantanovenne, un nuovo capitolo della rumorosissima saga barbarica, iniziata nel lontano 1979.
Questa volta non c’è Max (che l’ultima volta era Tom Hardy), ma Furiosa, un’angelica e indifesa ragazzina, rapita dal Giardino dell’Eden, interpretata dagli occhioni illegali di Anya Taylor-Joy, la regina degli scacchi. La scopriamo ancora cucciola, tra le mamme di famiglia dell’isola che non c’è, per ritrovarla poco dopo tra i metalli fragorosi dell’aspro deserto australiano, in cerca di famelica vendetta. Non più dolce, non più tenera, non più ingenua. Semplicemente furiosa.
Il frutto proibito, che coglie un po’ troppo lontano da casa, le fa meritare un rapimento che trasforma la sua vita e quella delle raccogliticce tribù barbariche che le sbavano attorno e che popolano questo immaginifico mondo di ripugnanti comparse.
Siamo nel futuro di un’umanità malata ed estinta, nel distopico deserto delle cattedrali sopravvissute all’autodistruzione, dove si fa la guerra a cavallo di bighe trainate da moto, autobotti di verdure e carovane di fetore.
Tra la feccia di una (dis)umanità che sopravvive di brandelli, si ergono i leader populisti del nulla che vomitano alle loro tribù parole promettenti e strali veementi di violenza rancorosa. Si combattono tra di loro, per accaparrarsi le preziose risorse di quel che resta del pianeta: cibo, acqua, benzina e proiettili. Una guerra distruttiva e necessaria, che esiste da sempre e sempre esisterà, ci raccontano nel film, che Miller sviluppa in cinque invasivi capitoli, che rubano l’udito e la vista con i clamori di ferraglia, di fuoco e puzzolente strategia di morte.
Vaghiamo per canyon, deserti, fabbriche semiabbandonate, rocche fortificate, in visita alla Cittadella, fortificata di loschi figuri, a Gastown, capitale del petrolio, e a Bullet Farm, dove si coltivano sogni di morte.
Scopriamo scenari ripugnanti che non vorremmo nemmeno lontanamente vedere nel nostro prossimo futuro, nonostante sparute isole di spazzatura siano già un’inquietante realtà del nostro unico pianeta.
Navighiamo a vista nell’inferno quasi pittorico dell’altrove, guidato da goffi leader, come Dementus, Scrotus, Immortan Joe o Bombalance, i cui nomi sgarrupati riescono perfino a farci apprezzare i nostri.
È il fascino dannato del male che funziona, in questo film iconico, il culto immortale dei biker, che hanno costruito il mito di Mad Max, il gusto dell’orrido che cancella qualunque forma di vita, speranza e gentilezza. Un mondo burbero, muscolare, fatiscente che Furiosa ribalta, con la sua fame di casa.
Mad Max è un genere, più che un film, che rivive in quest’ultimo, mai ultimo, capitolo. Un miscuglio di azione, che non dà tregua, avventura, tra vicende personali, cenni d’amore e violenze di ogni genere, e infine fantascienza, con la forza visiva dei primi della classe.
Per molti un ingombrante rifiuto cinematografico, per molti altri un divertente, catartico e inventivo giocattolone consigliato ad adulti cinici e ipercinetici.
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