Mi piace pensare che l’insuccesso di Furiosa, l’ultimo capitolo della saga cinematografica di Mad Max, sia dovuto a un “effetto di ritorno”. Di anni e anni di pellicole spese a far vedere come s’imbruttirà l’umanità, a mostrarne le perversioni, le assurdità e, soprattutto, le bestialità a cui può giungere per garantirsi la sopravvivenza. Anni e anni, pellicole su pellicole che ormai hanno stancato.
Mi piace pensare che la gente si sia abbastanza estenuata a vedere vomito, sangue e bruttezza, e che – come è giusto che sia – al fondo dell’albero secco della nostra cultura secolarizzata stia rinascendo il bocciolo fertile del desiderio di bellezza, di virtù, di salvezza e di speranza. Ma, lo voglio ripetere ancora, questo è ciò che mi piace pensare. Un critico cinematografico, uno del mestiere, probabilmente troverebbe ben altre ragioni per questo flop inaspettato; ragioni legate al budget o al calo generale che sta subendo il cinema, o altri aspetti del genere.
A ogni modo di questo film c’è poco da riferire, se non un inatteso dialogo posto alla fine. Per due ore vediamo le atrocità di un’umanità distrutta che punta sulla cattiveria e sulla mostruosità per tentare di sopravvivere. Furiosa, la protagonista, è una bambina maltrattata e abusata che cerca la sua vendetta (nomen omen). L’abusatore è Dementus, uno dei nomi ironici del film (un altro è Scrotus): un cattivo apparentemente svitato e poco in grado di governare. In realtà, il personaggio è ben delineato perché di gente così ce n’è a iosa: superficialmente vanagloriosi, leggeri e intellettuali, in realtà ben attenti a usare la propria immagine per nascondere un’efferata crudeltà. Alcuni di questi tratti possono ricordare il Duce. Ma anche Lucifero così come descritto da Dante: un personaggio mostruoso e grottesco, a tratti quasi ironico. Ed è lì che, in realtà, conduce il male: a diventare la copia sbiadita di se stessi, scolorita, brutta ma soprattutto triste, e quindi ironica, paradossale: di una grandezza molto piccola.
Ed è su questi aspetti psicologici che emerge l’unica luce interessante del film: della propria assurdità Dementus ne è consapevole. Proprio come il Diavolo, che ha già perso pur continuando a infierire, anche Dementus continua a essere cattivo pur sapendo che, in questo modo, non otterrà mai la felicità che desidera. Anche lui, come Furiosa, ha vissuto delle tragiche perdite: la sua famiglia, e in particolare i suoi figli, di cui tiene sempre con sé il peluche. Anche lui, quindi, sta reagendo a un dolore, provocando altro dolore negli altri, affannandosi per il potere e sperando così di anestetizzare il tormento interiore. Ma non è così, come afferma con arguzia a Furiosa, divenuta lei stessa l’aguzzina: “Tu sei me. Sei già morta! Per essere vivi cerchiamo eccitazione, qualsiasi eccitazione spazi via l’irritabile nera tristezza. E ci lascia per un attimo, ma poi torna di nuovo. E dobbiamo ricominciare. E ne serve di più, ne serve sempre di più. Finché il troppo non è mai abbastanza. Noi siamo quelli già morti!”.
Una vita in cui è impossibile essere felici è una disperazione. Si ha bisogno di tutto, ma nulla soddisfa. Neanche la vendetta, neppure quella più atroce. Vivi ma già morti, come ben dice Dementus.
Il film si ferma a questo punto. Ma noi possiamo proseguire: c’è bisogno di Qualcuno che ci liberi dal male, come cantava Claudio Chieffo – le cui parole sembrano profetiche in questa estate di guerre – perché il mondo tutto intero è rimasto tale e quale. Forse è questo Qualcuno che il mondo attende – sembra suggerire questo film – e pagherebbe anche il prezzo di un biglietto per vedere.
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