Ventiquattro ore di assenza sono bastate a ladri senza scrupoli per compiere un furto a Bucine, in casa di Paolo Rossi, durante i suoi funerali che si svolgevano a Vicenza. Ad agire una banda di più persone che hanno rubato oggetti personali e quindi ancora più preziosi.

Paolo Rossi aveva deciso da vent’anni di vivere in questo meraviglioso comune della Valdambra dove era stato accolto con grande affetto e rispetto. Le tracce che hanno lasciato i banditi, oltre a quelle fisiche che speriamo permettano alle forze dell’ordine di catturare i malviventi, sono state nel cuore di tutti gli italiani e sono state profonde e dolorose. Tutti, tifosi e non, si sono scandalizzati ed indignati per un gesto davvero vile. Il furto ha suscitato un’ondata di sdegno per chi ha agito senza rispetto non solo per la famiglia dell’ex calciatore e commentatore televisivo, ma anche per l’intero Paese che aveva visto in quel funerale un momento simbolico nel quale salutare in Paolo un testimone dell’Italia bella e positiva, che lotta e che sa vincere.

Il sindaco di Bucine Nicola Benini ha personalmente manifestato alla moglie di Rossi l’immenso dispiacere per l’atto criminale ed ha assicurato che lui e l’intera comunità saranno in futuro ancora più vicini a lei e alle figlie. Da parte sua Federica Cappelletti, la coniuge del Pablito nazionale, ha scritto al sindaco preziose parole di ringraziamento. “Non voglio consentire a questi vigliacchi di rovinare questo fiume di affetto e amore che si è formato intorno a Paolo. Bucine è stata e sarà la nostra casa, qui abbiamo trovato la nostra serenità e felicità. Fino all’ultimo”.

È consolante vedere come in una società dove a volte sembrano prevalere i furbi, gli ingannatori e i corrotti, non abbiamo perso la capacità di indignarci. Sappiamo ancora urlare il nostro “no”, quando si sorpassa ogni limite di decenza umana. Dovremmo imparare a farlo più spesso. Ogni volta che l’essere umano passa in secondo piano, ogni volta che il tornaconto personale cerca di sopravanzare anche i sentimenti più sacri e i momenti più dolorosi.

Per noi, Rossi è stato il simbolo di anni meravigliosi, quelli dell’azzurro migliore, quelli del cielo che diventava bianco rosso e verde, quelli dove il calcio, come ogni effimero che si rispetti, assumeva i toni del definitivo. Nell’82 ero la miglior versione di me stesso e sentivo che si adattava a me che fossimo gli azzurri e che anche io lo fossi. Perché io vedevo azzurra la vita mia, quella che mi aspettava, azzurra la vita delle persone che amavo. E Pablito ne era l’interprete giusto, quello al quale anche io potevo sperare di assomigliare perché già, con quel nome così comune, gli assomigliavo.