Secondo un rumour pubblicato da diverse testate, poi smentito, a metà gennaio Flavio Cattaneo aveva sottoposto a Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, un piano per la fusione di Eni ed Enel. Tre mesi fa non molti avrebbero scommesso che l’ex ad di Telecom Italia e Terna sarebbe stato indicato come amministratore delegato di Enel dal Mef. Lo scenario citato appartiene alla fanta-finanza e alle leggende e quindi non ci si può esimere da un’indagine sulla verità dietro la leggenda.



Enel a ottobre 2022 capitalizzava meno della metà dei livelli medi del 2020 e del 2021 e ieri, nonostante il buon recupero degli ultimi mesi, era ancora ampiamente sotto quei prezzi. La società è in buona compagnia perché lo stesso destino è toccato alle altre società del settore. Il 2022 è stato un anno di stravolgimento dei mercati energetici, e non solo, che ha spiazzato le utility. Queste società, considerate a basso rischio e con poca volatilità, hanno subito uno scenario di esplosione dei prezzi del gas e dell’elettricità e di volatilità estrema; si sono ritrovate al centro, loro malgrado, delle attenzioni dei Governi e fino a dicembre sono state additate come responsabili dei rincari e colpite da due tasse sugli extraprofitti arrivate dopo mesi di incertezze. È l’ultima delle cose che si potessero augurare aziende con livelli di leva sensibilmente superiori a molti altri settori industriali tanto più in un contesto di impennata dei tassi di interesse.



Si potevano permettere tanto debito, questo pensavano tutti inclusi gli investitori, perché l’attività era a poco rischio e i tassi bassi. È difficile concludere se il 2022 sarà una piccola parentesi tra due normalità simili o una rottura che porti a uno scenario diverso da quello degli ultimi decenni. Fino a che il prezzo del gas rimane stabile, anche se due-tre volte più alto di quello del 2019, è lecito credere che si ritorni al vecchio mondo; diversamente, se dal prossimo settembre ripartissero le tensioni sul gas, si farebbe strada la convinzione che il 2022 ha rappresentato una rottura senza ritorno. La politica e il sistema esercitano tutta la propria capacità di indirizzo perché queste società continuino a investire molto in rinnovabili e reti, quando da un punto di vista finanziario sarebbe probabilmente saggio scalare qualche marcia.



Enel, dicevamo, è come le altre società del settore, ma ha un livello di debito più alto fatte le dovute proporzioni. C’è un’ultima questione da toccare: c’è un grande punto interrogativo che aleggia sulle rinnovabili. Incentivare la produzione rinnovabile con grande generosità andava bene quando il sistema dipendeva essenzialmente da gas a buon mercato, in particolare russo. Se invece il sistema decide di virare sulle rinnovabili quegli incentivi non sono più sostenibili. Le alternative sono due: o incentivi molto generosi per una produzione piccola, quasi un lusso in un sistema che viaggia sul gas, oppure incentivi moderati su grandi quantità. Altrimenti i Governi avrebbero un problema economico, sociale e politico colossale.

Eni, invece, ha molto poco debito e potrebbe essere in uno scenario di prezzi diametralmente opposto: prezzi del gas e del petrolio alti perché il sogno verde impedisce, in Europa sicuramente, di esplorare, e perché nel nuovo contesto geopolitico tutto costa molto di più o economicamente o politicamente.

Una fusione potrebbe apparire come l’operazione che salva tutto. Ma due più due in economia non fa mai quattro e in questo caso la somma avrebbe un risultato compreso tra i numeri negativi e, nella migliore delle ipotesi, tre. Eni verrebbe completamente snaturata, si ritroverebbe a essere irriconoscibile rispetto alla sua storia e a qualsiasi altra società europea o internazionale del settore e si troverebbe impegnata a gestire una montagna di debito, in un settore che potrebbe diventare complicato senza averne le competenze. Il successo potrebbe forse arrivare dopo anni in cui le risorse manageriali vengono assorbite in un’attività che non è core. L’urgenza dell’Italia invece è trovare gas e petrolio economico con cui oggi, e per i prossimi dieci anni almeno, verrà generata l’elettricità che tiene in vita le imprese italiane, che fa muovere il traffico leggero e pesante e che scalda le case in inverno.

Questa è la priorità e qualsiasi deviazione o qualsiasi sogno finanziario verrebbero pagate a caro prezzo; dall’Italia in primis.

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