FUSIONE FCA-PSA. Stanno parlando. Entrambi lo hanno confermato e ciò significa che sono già a buon punto. Psa e Fca hanno buone probabilità di convolare a nozze. E le motivazioni che le spingono a farlo sono importanti: a cominciare dalla media dimensione delle due aziende che aumenta per entrambe l’incidenza e il rischio degli investimenti nelle nuove e vecchie tecnologie, per finire con la necessità di rinnovare i modelli per Fca. O la voglia di entrare da protagonista nel mercato americano per Psa.



Non è il migliore merger possibile, come non lo era quello con Renault perché una fusione tra Fca e il Gruppo Volkswagen sarebbe stata perfetta dal punto di vista industriale, ma con il condizionale non si fa la storia, neanche quella industriale, e per sposarsi bisogna essere d’accordo in due. In ogni caso sposarsi era (diamo per scontato che l’operazione si farà ma potremmo anche sbagliarci) una necessità. Con Peugeot-Citroen che comprende anche il minimarchio premium Ds e la tedesca Opel, Fca non vincerà a mani basse, ma se la potrà giocare nei prossimi anni con buone possibilità di sopravvivere.



I problemi, certo, non mancheranno e sono già sotto gli occhi di tutti. Il primo è l’eccessiva concentrazione della nuova realtà post fusione in Europa. Lo scorso anno l’80% dei 3,9 veicoli venduti da Psa sono stati immatricolati in Europa. Se sommiamo il milione di veicoli venduti da Fca, il Vecchio continente rappresenterà quasi la metà delle consegne complessive (47,3%). Il resto delle immatricolazioni avviene negli Usa (dove Fca vende 2,5 milioni di veicoli e Psa zero) o in Sudamerica, Brasile in testa. Manca o quasi il primo mercato del mondo, la Cina, dove Psa ha venduto poco meno di 100 mila auto e Fca poco più di 50mila. E il merger non modificherà di una virgola questa situazione: concentrazione delle vendite in un mercato europeo saturo con margini bassi e difficoltà in quello asiatico.



L’altra questione sul tavolo è di potere. La scelta di Tavares come ceo non poteva essere migliore perché nel settore automotive è, oltre ogni ragionevole dubbio, il numero uno dei manager. Lo dimostra il recupero di Opel che sotto la sua guida ha ritrovato la profittabilità dopo anni di bilanci in rosso. Ma la politica portata avanti in Psa e Opel da Tavares prevede un sostanziale taglio dei costi. Alla fine chi pagherà il conto della riduzione dei posti di lavoro, le fabbriche oltralpe o quelle italiane?

Anche ai piani alti la situazione non è semplice. Psa ha tra i propri soci lo Stato francese, Dongfeng Motor Corporation che è una delle tre grandi aziende automotive cinesi, e la famiglia Peugeot, tutte con il 14%. Exor di John Elkann ha il 29% di Fca. Il valore in Borsa delle due aziende è più meno equivalente e questo significa che Elkann avrà circa il doppio degli altri grandi azionisti della nuova società, compreso il Governo di Parigi. Ma chi comanderà davvero?