Ieri FCA e PSA hanno comunicato i dettagli della fusione circa un’ora prima dell’apertura dei mercati europei. La reazione degli investitori, abbastanza prevedibile, è stata un rialzo di quasi il 10% per Fiat e un ribasso netto per PSA. L’andamento lascia davvero pochissimi dubbi su chi sia il compratore e chi il venditore. Pare che questa volta il destino di quella che fu la più grande società industriale italiana sia compiuto. Dopo le negoziazioni, mai ufficiali, con Volkswagen le offerte, respinte, di fusione con GM e Renault l’approdo è PSA.



PSA è un gruppo che è stato salvato due volte, sull’orlo del fallimento, dal Governo francese che oggi è infatti uno dei tre azionisti di riferimento con una quota di circa il 12% e ha come mercato principale l’Europa: che è il peggior mercato globale sia perché il continente è il peggior “performer” globale da un paio di decenni, sia perché c’è un eccesso di capacità produttiva. Per i “mercati” il cuore della fusione, al di là di quello che viene scritto è detto, è oltre ogni dubbio le sinergie che si potranno fare in Europa che rimarrà un mercato asfittico per il prossimo futuro.



Le sinergie da 3,7 miliardi di euro all’anno annunciate non assumono, oggi, chiusura di impianti, ma il senso di una fusione che mette insieme, in modo preponderante, vendite in Europa può, evidentemente, essere solo uno. Siccome l’economia sta rallentando, siccome il settore auto è già normalmente iper-competitivo e in più oggi deve accontentare le richieste di auto “green”, fa niente se nessuno si interroga su cosa voglia dire produrre e smaltire batterie elettriche, immaginate quanto “l’oggi” possa essere un riferimento per l’evoluzione dei prossimi dieci anni.



In questo scenario il ministro dell’Economia francese fa dichiarazioni sull’operazione parlando alla prima persona plurale: “Per noi è fondamentale che l’ad sia Tavares”, “questa fusione ci dà massa critica per fronteggiare le sfide future”, ecc. In Italia nessuno commenta “operazioni di mercato”; che nel caso specifico significa che una società che produce automobili salvata con i soldi dei contribuenti francesi, di cui il Governo francese è tra i principali azionisti compra una società “quotata”. Il cuore industriale del gruppo in Europa sarà a Parigi, mentre in Italia rimarranno i marchi “premium”; forse tra i marchi premium c’è Alfa Romeo che però ha vendite microscopiche e si presenta sul mercato con una frazione dei modelli dei concorrenti; oggi e anche nei prossimi anni visti gli investimenti. Festeggiamo per essere la parte del gruppo con i marchi premium…

Il Governo francese fa, ancora una volta, benissimo il suo mestiere assicurandosi di avere una voce, decisiva, in capitolo sulle scelte industriali del gruppo. Quando si parla di cose serie ovviamente nessuno crede “al mercato” che rimane, ieri, oggi e domani, la scusa con cui far ingoiare agli sprovveduti, quelli che si accusano di ignoranza funzionale, decisioni già prese fuori dal mercato e dalle sue logiche. Basterebbe fare un elenco delle aziende in cui il Governo francese è azionista di maggioranza assoluta o relativa. Un giorno “il mercato” chiude quella azienda italiana, un altro giorno permette a qualcuno di comperarla, un altro giorno il mercato è difficile è quella acciaieria deve chiudere. Cosa c’è di meglio che far fronte alle sfide attuali razionalizzando la capacità in modo chirurgico assicurandosi che il proprio sistema non ne sia vittima?

Non è che i francesi sono cattivi, siamo noi i colpevoli; vittime di un’ideologia che va bene per le colonie, di tantissimi tradimenti e anche dell’assenza di politici e politica. Il risultato è che Fiat ha costruito un gruppo con il cuore industriale in America e in Francia e la sede in Olanda; senza che nessuno in Italia facesse o dicesse niente. Così non si fa né Pil, né crescita, né occupati.