Per la comunità scientifica “è una delle più grandi imprese del XXI secolo”. Per la segretaria al Dipartimento americano per l’Energia, Jennifer Granholm, è “un risultato storico, un punto di svolta che sprigionerà altre scoperte”. Per Jill Hruby, sottosegretaria Usa per la sicurezza nucleare, gli Stati Uniti hanno intrapreso “i primi passi verso una fonte di energia pulita che potrebbe rivoluzionare il mondo”.
Così ieri sono stati annunciati i risultati di un esperimento in cui, per la prima volta nella storia, in un laboratorio della California, è stata prodotta una reazione di fusione nucleare che genera più energia di quella necessaria per innescarla. Un evento che gli scienziati inseguono da oltre cinquant’anni e che i ricercatori e lo staff della National Ignition Facility, in California, hanno trasformato in realtà. “L’accensione – ha sottolineato la Granholm – ci consente di replicare per la prima volta determinate condizioni che si trovano soltanto nelle stelle e nel sole”, avvicinandoci “di un passo significativo alla possibilità di un’energia di fusione a zero emissioni di carbonio che alimenti la nostra società”.
È davvero così, abbiamo messo le mani su una fonte di energia così potente? “Quando si fanno esperimenti di fusione nucleare – risponde Matteo Passoni, professore ordinario di fisica della materia al Politecnico di Milano – si raggiungono temperature anche di 100 milioni di gradi, mentre all’interno del Sole la temperatura è di circa 15 milioni di gradi. E si creano condizioni di pressione e densità della materia che hanno una chiara analogia con la materia che si trova nelle stelle e nel Sole, che infatti produce energia con reazioni di fusione nucleare. Questo è il senso di quelle affermazioni. Ma con questo esperimento non è la prima volta che si ottiene un plasma termonucleare con queste temperature”.
Quando si parla dei risultati comunicati ieri dal Dipartimento per l’Energia Usa sulla fusione nucleare, di cosa si tratta?
Stiamo parlando dei risultati di esperimenti recentemente condotti presso la NIF, National Ignition Facility, operativa da una dozzina d’anni all’interno del Lawrence Livermore National Laboratory, in California. Qui vengono realizzati esperimenti nell’ambito di un programma di ricerca iniziato una decina d’anni fa.
Con quale intento?
Proseguire e implementare gli studi collegati a un possibile approccio per lo sfruttamento di energia derivata dal processo fisico della fusione nucleare, approccio noto con il nome di fusione nucleare mediante “confinamento inerziale”, o fusione inerziale, in breve. Assieme a quello del “confinamento magnetico”, è uno dei due metodi principalmente studiati, dagli anni 50-60 del XX secolo, per arrivare a realizzare un impianto che possa produrre energia elettrica sfruttando la fusione nucleare.
Nel caso della NIF si può parlare anche di “confinamento laser”?
Dal punto di vista tecnico no. Meglio dire che il confinamento inerziale può essere raggiunto sfruttando un sistema di impulsi laser, essenziali in questo metodo. Alla NIF, per esempio, sono stati sfruttati 192 impulsi laser per poter innescare la sequenza dei processi fisici necessari.
Come ha operato la NIF?
Alla NIF, che è l’infrastruttura più avanzata e performante al mondo nell’ambito di questi esperimenti per studiare la fusione nucleare, hanno usato un sistema di impulsi laser in grado di fornire energia, dall’esterno, al combustibile, per comprimerlo e portarlo in condizioni di pressione e temperatura tali da avviare lo sviluppo di processi di reazione nucleare.
Di che combustibile si tratta in questo esperimento?
Il combustibile, nell’ambito della fusione inerziale, è una sferetta di dimensioni dell’ordine di un millimetro che contiene una miscela di deuterio e di trizio. Sono due isotopi dell’idrogeno.
Un combustibile, dunque, facilmente reperibile e abbondante?
Non del tutto. Il deuterio è sì abbondantemente presente in natura, per esempio nell’acqua, quindi ce n’è una quantità sostanzialmente infinita. Decisamente più difficile, invece, avere il trizio, che è un nucleo radioattivo, con un tempo di vita di circa 12 anni. Impossibile trovarlo in natura.
Quindi come lo si può reperire?
In un impianto a fusione nucleare l’obiettivo è produrlo dall’impianto stesso.
In che modo?
In una reazione di fusione nucleare tra deuterio e trizio vengono prodotte due particelle, una delle quali è un neutrone, che si porta via i quattro quinti dell’energia liberata dalla fusione stessa. Per catturare questa energia l’obiettivo è far interagire i neutroni con materiali che contengono nuclei opportuni. Se si scelgono i nuclei in maniera intelligente, si può anche far sì che il neutrone porti alla produzione di trizio, mediante opportune reazioni nucleari. E questo è esattamente quello che si pensa di fare, circondando la camera nella quale è posto il combustibile con un “mantello” contenente litio. Questo importante aspetto delle ricerche non è peraltro parte degli obiettivi della NIF.
Quali obiettivi ha l’esperimento della NIF?
Il sistema utilizzato nella NIF consente di avere la più alta quantità di energia immagazzinata negli impulsi laser e disponibile per esperimenti di fusione inerziale. Questa energia viene usata per far implodere, secondo un processo di compressione, la sferetta che contiene il combustibile. L’implosione permette di raggiungere pressioni elevatissime e temperature tali da innescare un numero adeguato di reazioni di fusione nucleare. Grazie a questo, il combustibile compresso “brucia”, perché le reazioni di fusione nucleare generano energia, una parte della quale consente di realizzare altre reazioni di fusione nel combustibile compresso.
E la parte rimanente di energia prodotta?
È quella che viene rilasciata sotto forma di energia cinetica dei neutroni prodotti dalla reazione e che si vuole sfruttare anche per produrre energia elettrica, sebbene anche questo non faccia parte degli obiettivi degli esprimenti della NIF.
Si tratta di una pietra miliare nella ricerca in questo campo?
Alla NIF, per la prima volta, la quantità di energia prodotta nel processo è superiore all’energia convogliata sul combustibile dai 192 impulsi laser che sono serviti per innescare il processo.
Tradotto in numeri?
È stata prodotta energia di circa 3 megajoule, a fronte di un utilizzo di 2-2,1 megajoule negli impulsi laser, corrispondente ad un “guadagno” di 1,5.
È per questo motivo che possiamo parlare davvero di svolta?
Si tratta indubbiamente di un risultato mai ottenuto prima d’ora e di grande rilevanza, ma parlerei piuttosto di un’ulteriore tappa importante nel percorso di aumento dell’efficienza e del controllo del processo di fusione nucleare, il cui traguardo finale sarà quello di realizzare dei “guadagni” di energia molto più elevati.
Si avvicina quindi la possibilità di costruire impianti per la produzione di energia nucleare da fusione?
Premesso che, come detto, senza alcun dubbio la NIF non ha l’obiettivo di produrre energia elettrica, perché non è attrezzata per farlo (il suo obiettivo è condurre esperimenti per l’avanzamento delle ricerche), per arrivare a un impianto di fusione nucleare ci vorranno ancora diversi decenni di attività, in linea con quello che anche prima di questi esperimenti si pensava si dovesse fare come percorso. Questo non è uno sprint, nel quale è stata fatta un’accelerazione che ci consentirà di arrivare prima al risultato, ma una maratona, ancora molto lunga.
Quali ostacoli andranno superati?
Sarà necessario aumentare notevolmente l’efficienza e il guadagno di energia, di cui parlavo poc’anzi, rispetto all’esperimento condotto dalla NIF. Senza contare tutta una serie di problematiche ulteriori che dovranno essere risolte se si vorrà realizzare un impianto in grado di produrre energia elettrica da fusione nucleare. Tenga conto che il sistema di generazione degli impulsi laser ha un’efficienza molto bassa. Alla NIF infatti sono stati necessari circa 300 megajoule per realizzare gli impulsi laser da 2 megajoule che hanno innescato le reazioni di fusione. Quindi, se l’obiettivo è produrre energia elettrica, sarà importante sapere quanta energia elettrica serve per “accendere” e far funzionare la macchina e quanta energia elettrica si potrà estrarre.
Quindi l’energia da fusione nucleare non è ancora energia elettrica?
Per produrla occorrerà un opportuno processo che consenta di raccogliere l’energia prodotta dalla fusione per trasformarla in energia elettrica. Ma anche questo processo ha un’efficienza che non può essere del 100%. Tutto ciò fa capire che i risultati della NIF sono solo una tappa, pur fondamentale, nel percorso: oggi il fattore fra energia prodotta ed energia utilizzata è 1,5, ma i guadagni necessari per far funzionare un futuro impianto per la produzione di energia elettrica da fusione dovranno essere di molte decine, se non centinaia.
Che cosa distingue la fusione dalla fissione nucleare?
Di solito si tende a mettere in contrapposizione i due modelli e a omettere invece le forti analogie.
Per esempio?
In entrambi i casi si parla di energia nucleare e cioè del modo più efficiente di ottenere energia mediante processi fisici, liberando energia in quantità milioni di volte superiore a quella che può esser sviluppata attraverso processi di reazioni chimiche o legati allo sfruttamento dell’energia eolica o solare. Questa grande efficienza, sia nella fissione che nella fusione, consente ad esempio di ridurre enormemente la quantità di rifiuti che vengono prodotti.
Abbiamo quindi fatto un passo avanti significativo sulla strada verso un’energia nucleare pulita e sicura?
Bisogna intendersi sul termine pulita. L’energia nucleare da fissione è certamente una delle forme di energia più pulite di cui possiamo disporre ed è opportunamente inserita da molti organismi internazionali come una delle fonti utilizzabili per il processo di decarbonizzazione e nella lotta contro i cambiamenti climatici. La fissione esiste dagli anni 70 e sta dando un contributo importante nella produzione di energia elettrica senza emissioni di carbonio e con produzione limitata di rifiuti; la fusione ancora no, è a uno stadio di ricerca. E per quanto ricordavo prima, se guardiamo ai tempi scala previsti dagli obiettivi del 2030 o del 2050, l’energia nucleare da fusione giocherà un ruolo verosimilmente nullo. Questo ovviamente non significa che non bisogna fare ricerca in questo campo, perché la fusione nucleare offre davvero molte attrattive.
Quali vantaggi garantisce rispetto alla fissione nucleare?
Innanzitutto, la tipologia e la disponibilità del combustibile. La fissione ha bisogno di uranio, e non ce n’è così tanto; soprattutto la sua distribuzione come risorsa naturale non è diffusa in modo omogeneo per tutte le nazioni. Nella fusione, invece, si usano il deuterio e il litio, un isotopo dell’idrogeno che è relativamente abbondante in natura, per esempio nell’acqua. Inoltre le quantità necessarie sono minime. In secondo luogo, si farebbero passi avanti nella gestione dei rifiuti.
Perché?
Anche la fusione produrrà rifiuti, come tutte le attività umane, e produrrà rifiuti radioattivi, perché si tratterà di impianto nucleare. Ma la fusione, pur producendo più rifiuti di un impianto a fissione in termini di quantità complessive, non prevede la presenza dei cosiddetti rifiuti ad alta attività, che sono i più complicati da gestire, perché rimangono radioattivi per decine di migliaia di anni. Nel caso della fusione i rifiuti perdono la loro radioattività nel giro di un secolo.
(Marco Biscella)
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