Non c’è che dire: è stato un inizio d’anno elettrico, all’insegna dei sorpassi, per il mondo a quattro ruote, ormai al centro di una transizione che coinvolge tecnologia, finanza, mondo del lavoro e, non meno importante, gli equilibri geopolitici. Il primo sorpasso riguarda il primato nelle vendite sul mercato Usa. Per la prima volta dopo 90 anni GM perde il primato delle vendite a vantaggio di Toyota (2,3 milioni di veicoli venduti, 114 mila più della rivale di Detroit). La piccola Pearl Harbour si spiega con la carenza dei chips. Ma c’è un altro sorpasso, ancor più clamoroso: negli ultimi dodici mesi la performance borsistica di Ford, la veterana dell’auto a stelle e strisce, è stata migliore di quella di Tesla, il gigante da mille miliardi di valore. Merito del successo del pick-up elettrico F-50 che ha raccolto 200 mila prenotazioni a tre mesi dalla prima consegna prevista nella prossima primavera. Intanto GM, che ha presentato la Silverado elettrica, annuncia un’auto a guida autonoma per la metà del decennio. 



Non si esaurisce qui la straordinaria vitalità tecnologica del mondo a quattro ruote innescata dalla rivoluzione dell’elettrico: dall’auto tedesca a Tesla, passando per l’auto cinese o le mosse di coreani e giapponesi sull’idrogeno non passa giorno senza registrare una novità straordinaria. Intanto, nell’estremo Nord lappone, è stata prodotta la prima batteria di Northvolt, l’azienda svedese fondata da collaboratori di Elon Musk (tra cui il torinese Paolo Cerruti) che si propone quale primo polo di sviluppo di un’attività industriale d’avanguardia. E Tesla si preoccupa delle forniture di materie prime strategiche, destinate a scarseggiare con il boom dell’auto di nuova concezione, che chiedono litio, bauxite, cobalto e terre rare. Una sfida a tutto campo finora dominata dalla Cina che ha già suscitato la risposta americana. 



Non è da meno Stellantis: l’azienda guidata da Carlos Tavares ha concluso una serie di accordi, dalla taiwanese Foxconn ad Amazon che, in pratica, segnano l’avvio dell’integrazione tra due mondi finora separati, al di là dei frequenti episodi di collaborazione: da una parte l’auto, espressione nel mondo del XX secolo, dall’altra l’elettronica. Il tutto all’insegna del digitale che consente alleanze prima impensabili. Il gruppo automobilistico, in particolare, ha stretto una partnership con il colosso Amazon per progettare, realizzare e gestire le applicazioni software dei veicoli che arriveranno sul mercato dal 2024, tese a migliorare e rendere aggiornabili da remoto tutti i servizi di navigazione, assistenza alla guida, intrattenimento, manutenzione e così via. “Uno dei pilastri della nostra strategia – dice il Ceo – è una maggiore integrazione verticale non solo nei software, ma anche nell’hardware e per questo motivo stiamo costruendo una Academy che avrà il compito di formare mille ingegneri l’anno”. 



Prende corpo quello che, semplificando, potremmo definire il modello Apple. Il valore aggiunto non risiede tanto nel modello Basic ceduto al cliente quanto nel software, i servizi affittati o venduti per arricchire il prodotto, un business che, tempo cinque anni, dovrà generare venti miliardi all’anno. Come? Immaginiamo di poter comprare spazio, capacità di carico, potenza aggiuntiva del motore piuttosto che nuovo comfort o videogiochi. O tante altre cose che non immaginiamo nemmeno. Fantascienza? In realtà il futuro già è in mostra in questi giorni a Las Vegas, alla più importante fiera di elettronica di consumo, il Ces, un tempo palcoscenico per lanciare computer, tv e videogiochi: quest’anno si parla quasi solo di mobilità. C’è un furgone a guida autonoma, per esempio, che non solo non ha il volante, ma neanche la cabina dell’autista che in effetti non serve più per consegnare fino a 900 chili di carico in circa 80 fermate.

Dietro l’evoluzione tecnologica c’è l’esigenza dettata dal business a sua volta sottoposto alla pressione della politica. Gli Usa hanno in programma forti incentivi per l’auto elettrica limitati, però, alle sole aziende Usa che abbiano una rappresentanza sindacale. Un modo per estromettere giapponesi e tedeschi che producono nel Sud degli States, dove non sono previsti sindacati. In quasi tutti gli altri Paesi esistono incentivi per chi acquista vetture elettriche, a fronte dei maggiori costi richiesti dai più elevati requisiti ambientali. Nonostante questi aiuti il mercato europeo, a detta dei costruttori, rischia di ridursi da 17 a 14 milioni di pezzi perché il costo delle vetture escluderà dal mercato una parte di possibili compratori, specie i più giovani. Di qui la necessità di aumentare il valore unitario delle vetture.

Insomma, il mondo della mobilità sta cambiando in tempi rapidi. Tra le altre conseguenze ci sarà quella di “restringere” le fabbriche a fronte di una capacità produttiva ormai in eccesso. Di qui l’intervento sull’occupazione, a partire dall’indotto perché molte lavorazioni oggi affidate all’esterno verranno ricondotte dentro le case madri. In cambio, la nuova mobilità proporrà molte occasioni per i Paesi, vedi la Svezia, capaci di cavalcare le novità (le batterie) o pronti a investire nei chips (la Germania, prima fra tutte), come non dispera di fare la stessa Italia in corsa per una parte degli investimenti Intel in Europa. Di sicuro sarà necessario guidare la transizione con mano ferma.

Non si difende l’occupazione bloccando per via di legge le multinazionali che lasciano attività destinate a scomparire con il motore a combustione. L’importante, come sempre, è accompagnare l’innovazione con scelte politiche proiettate sul futuro, perché è impensabile che le aziende concentrino i loro investimenti in Paesi che, per dirla con Tavares, “sono percorsi da alcuni trend di pensiero che considerano l’auto – anche pulita – non benvenuta”. Uno a caso, l’Italia, l’unico privo di una politica di incentivi concentrata sull’auto elettrica.

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