“La transizione dai combustibili fossili ai sistemi energetici avverrà in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando le azioni in questo decennio critico, per raggiungere lo zero netto entro il 2050, in linea con la migliore scienza disponibile”. Con ponderazione e poca ambizione, secondo gli attivisti climatici, il G7 riafferma gli impegni sicuramente importanti per il clima e l’obiettivo 1,5°C, a partire dalla promessa di “eliminare gradualmente l’attuale produzione di energia elettrica a carbone non smaltita nei nostri sistemi energetici nella prima metà degli anni 2030”. Si ribadisce il “transitioning away” dai combustibili fossili e l’uscita dal carbone nella prima metà degli anni 2030 già deciso dal summit di aprile a Torino dei ministri dell’Energia del G7.
Gradualità nei tempi e consistenza con i rispettivi percorsi di azzeramento di ciascuna nazione è quanto si legge nel comunicato finale sull’uscita dal carbone che riguarderebbe solo le centrali unabated, cioè quelle dove non sono applicate tecnologie per catturare le emissioni (CCS). Scelta adottata per offrire un margine di manovra a Germania e Giappone, le cui economie dipendono molto da questo combustibile. Sono, lamentano le organizzazioni ambientali, degli obiettivi già concordati in precedenza nei round negoziali a livello più basso e quindi nulla di realmente inedito in previsione della COP29 prevista in novembre a Baku. Salvo il decisivo impegno delle economie dominanti a compiere uno sforzo collettivo per ridurre del 75% le emissioni di metano da combustibili fossili entro il 2030. Co’è noto, il metano è un gas serra molto potente che ha un impatto climalterante 85 volte quello della CO2 su un arco di 20 anni, anche se l’anidride carbonica ha un tempo di permanenza in atmosfera per migliaia di anni, mentre il metano scompare in circa 10-15 anni.
Silenzio invece su piani e scadenze per l’abbandono di petrolio e gas, anzi. “Nella circostanza eccezionale di accelerare l’eliminazione della nostra dipendenza dall’energia russa, gli investimenti pubblici nel settore del gas possono essere una risposta temporanea, in base a circostanze nazionali chiaramente definite”, si legge nel documento. L’Italia ha spinto affinché le economie del G7 rivolgessero l’attenzione verso il Mediterraneo e l’Africa, lanciando l’iniziativa “Energia per la crescita in Africa” insieme a sette Paesi africani. Si tratta di una ridefinizione in chiave moderna del Piano Mattei per indirizzare alcuni investimenti in energia pulita verso il continente che finora è servito principalmente come fonte di combustibili fossili e minerali critici per le nazioni sviluppate. Tuttavia, secondo le organizzazioni green, il gas rimane il perno della strategia energetica italiana.
Il G7 è stata anche l’occasione per ribadire gli accordi di finanza climatica sottoscritti nel round negoziale tra i ministri ambiente chiuso la settimana prima a Bonn. In prospettiva del prossimo vertice Onu del clima a Baku, si devono riformulare i meccanismi contributivi al fondo di 100 miliardi di dollari annui per finanziarie le nazioni più povere (l’idea del fondo per la mitigazione e adattamento climatico risale a oltre un decennio, ma è diventato operativo solo alla fine del 2022). Pur concordando sulla necessità di fornire finanziamenti alle nazioni più povere, i Premier del G7 hanno chiesto a Cina India, Brasile, Uea e Arabia Saudita, nazioni classificate come in via di sviluppo ma economicamente più avanzate e diventate nel frattempo grandi emettitori, di contribuire alla finanza climatica internazionale.
L’idea circolata nel consesso di Bonn è di fare leva sul contributo di oltre 440 miliardi di dollari dell’Ue e Stati Uniti per alzare complessivamente mille miliardi grazie a nuove imposte e tasse. Le emissioni legate alla difesa rappresentano il 5% delle emissioni storiche, si potrebbe quindi ipotizzare a un’imposta sulle imprese del settore dei Paesi in via di sviluppo; oppure tassare le transazioni finanziarie.
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