Si è aperto a Torino il triduo del G7 su Clima, Energia e Ambiente. L’attesa è per la dichiarazione finale di oggi, martedì 30: sarà coerente con quella finale della recente COP28 di Dubai, la “Global Stocktake”, nella quale per la prima volta sono state citate l’energia nucleare e quella fossile con cattura della CO2 come necessarie alla transizione ecologica? O sarà aggressiva, votata alla sicurezza degli approvvigionamenti e alla riduzione delle dipendenze strategiche, come annunciato nel recente Nuclear Energy Summit di fine marzo a Bruxelles da oltre 30 Paesi, inclusi quelli del G6 (Germania esclusa)? Oppure sarà un accordo al ribasso limitato alle sole fonti rinnovabili, per la posizione fortemente contraria all’atomo dell’attuale governo tedesco, soprattutto del suo ministro verde Robert Habeck? O magari limitata ad un appoggio al nucleare del futuro, ossia l’energia da fusione? Sì, detta proprio così come da qualche tempo usa qualcuno, omettendo volutamente il termine nucleare che la caratterizza. Perché fa poco “green”. Lo si vedrà fra poco.



Certo, il ministro tedesco arriva al meeting con un paio di difficoltà in più. In casa propria e in quella europea. In casa, per l’affaire scoppiato di recente sul caso delle email “nascoste” dal suo ministero e da quello della collega dell’Ambiente, la verde Steffi Lemke. In sintesi: nel marzo 2022, a ridosso dell’invasione russa in Ucraina e dell’impennata dei prezzi dell’energia, il governo doveva decidere la sorte degli ultimi reattori nucleari ancora in funzione, nonché di quelli appena spenti a fine 2021. L’opzione sul tavolo, vista la situazione economica e geopolitica, era di estendere l’operatività delle tre centrali ancora in funzione e magari acquistare nuovo combustibile e riavviare quelle appena spente. Pare che in alcune email giunte ai due ministeri il parere tecnico degli esperti fosse positivo, sia dal punto di vista della sicurezza nucleare sia da quello della valenza economica e strategica. Il parere ufficiale dei ministeri guidati dai verdi fu invece negativo, sembra per non meglio chiariti problemi legali.



Niente di nuovo, verrebbe da commentare: anche la cancelliera Angela Merkel, quando nel 2011 a seguito di Fukushima decise di spegnere tutte e 15 le centrali nucleari tedesche, lo fece in barba al rapporto prodotto dalla propria autorità nucleare in seguito agli stress test europei, che confermava la sicurezza delle centrali, e in base al documento di una commissione etica appositamente costituita, nella quale non sedeva alcun esperto nucleare, di parere (morale) opposto a quello dell’autorità preposta. Ma almeno lo fece alla luce del sole. La difficoltà di Habeck nei confronti dei partner europei, soprattutto di quelli che siederanno al tavolo del G7 con lui, è invece dovuta al nuovo sussidio, questa volta di 28 miliardi di euro, a favore delle aziende energivore tedesche da qui al 2028. Alla faccia della concorrenza europea.



Così, mentre la Germania produce energia elettrica emettendo circa 400 grammi di CO2 equivalente per kWh e spende svariati miliardi all’anno per abbassare i costi energetici delle proprie aziende, la Francia genera elettricità a circa un decimo delle emissioni tedesche e a costi molto bassi, ma la strabica Europa la costringe a pagare una tassa da centinaia di milioni perché “non ha ridotto le proprie emissioni come previsto”. Ma come, la Francia non è la nazione europea ambientalmente più virtuosa sull’elettricità (soprattutto nucleare), insieme alla Svezia (idroelettrico e nucleare)? Si, ma questo è lo strabismo di Bruxelles, di casa nell’ultima legislatura.

E i padroni di casa del G7? Che intenzioni hanno sul nucleare? Su rinnovabili e gas (il Piano Mattei serve soprattutto a quello) non si discute. Saranno le colonne portanti della strategia energetica italiana ancora per molto tempo. Ma si guarderà (seriamente) anche al nucleare? Gli indizi sembrano andare in quella direzione. Il ministro Gilberto Pichetto Fratin negli incontri pre-G7 di sabato e domenica scorsi dedicati al ruolo dell’atomo, organizzati da AIN, Nucleareurope, Atlantic Council, ISPI e Newcleo, ha indicato le tre priorità (legislativa, tecnologica, politica) e ha comunicato tre azioni immediate: l’avvio di una revisione delle norme, delle leggi e degli aspetti regolatori per consentire la produzione da nucleare in Italia, compito assegnato al giurista Giovanni Guzzetta, l’inserimento nel piano energetico nazionale (PNIEC) di uno scenario post-2030 che preveda la generazione elettrica da nuovo nucleare, infine la partecipazione del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica alla nascente Alleanza Industriale Europea per gli Small Modular Reactors (SMR), quale partner effettivo e non in qualità di osservatore, come per la European Nuclear Alliance.

Nel frattempo, le aziende italiane corrono e non aspettano i tempi politici, perché la situazione morde e i treni partono. Nell’incontro di sabato al Politecnico di Torino, Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e neo-nominato special advisor di Confindustria con delega all’Autonomia Strategica Europea, Piano Mattei e Competitività, insieme a Nicola Monti, Ad di Edison, hanno dichiarato la firma di un accordo per il futuro acquisto a lungo termine di elettricità prodotta dal primo SMR che Edison vorrebbe realizzare in Italia e che i francesi di EdF stanno sviluppando (Nuward), ma soprattutto l’intenzione di concordare con EdF la possibilità di importare da subito un quantitativo simile di elettricità, prodotta da uno degli attuali impianti nucleari transalpini. Una mossa molto interessante e decisamente opportuna. Come spesso accade, le aziende italiane precorrono (a volte sussidiano) le decisioni politiche. Ma ciascuno si ricordi di fare la sua parte.

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