È un G7 davvero speciale quello che si sta svolgendo in queste ore a Borgo Egnazia. Lo è per due ragioni concrete: da un lato la guerra, ai confini dell’Europa, e dall’altro la fragilità dell’Unione Europea, che deve misurarsi con un quadro politico sostanzialmente mutato dopo le recenti elezioni. I venti di guerra in Ucraina non accennano a finire e gli accordi per Gaza non hanno ancora imboccato la strada giusta per risolvere conflitti e stragi. L’UE dal canto suo, dopo le recenti consultazioni elettorali, appare confusa per il senso di cambiamento che ha colpito tutti i Paesi, uno ad uno, ad esclusione dell’Italia. Solo l’Italia, infatti, vede confermato il suo orientamento a destra, con una leader che è riuscita a trasformare questa tornata elettorale in un vero e proprio plebiscito di conferma della sua linea politica. Ed è proprio lei, leader dei conservatori europei, che sta guidando l’attuale G7.
Il resto è noto: uno tsunami ha colpito la Francia con Macron surclassato da Marine Le Pen; in Germania la coalizione del cancelliere tedesco Olaf Scholz, dei socialdemocratici (SPD), è in seria difficoltà; in Belgio ci sono state le dimissioni del primo ministro, in Spagna i Popolari hanno umiliato pubblicamente il partito socialista, che è al governo. Biden non è certamente al massimo del suo potere con le elezioni alle porte e una guerra giudiziaria che vede sotto accusa non solo Trump, ma anche il figlio primogenito dello stesso presidente americano, certamente preoccupato. Non a caso questo incontro dei Potenti della terra è stato soprannominato: sei anatre zoppe e Giorgia Meloni, che (citiamo dai media) sembra “non riesca a smettere di vincere” e sia pronta a “svolgere un ruolo fondamentale nel plasmare la direzione futura della politica europea a Bruxelles”.
In questo clima di grandi tensioni esterne per le guerre in corso e di grandi tensioni interne per i cambiamenti in atto è improvvisamente emerso in pole position il tema dei diritti umani e della loro tutela. Tema centrale nella vita di tutti noi, che merita la massima attenzione, se non fosse per la polarizzazione radicale che ha concentrato tutti i diritti umani in un unico punto: il diritto all’aborto. Nel G7 precedente, ad Hiroshima, in Giappone, si è esplicitamente parlato di diritto a un “accesso all’aborto sicuro e legale e alle cure post-aborto”. Un punto voluto soprattutto da Francia e Canada. Ma nella bozza del documento finale che sarà approvato domani, questo punto è sparito. Lo afferma e lo conferma una nota dell’ANSA, dopo aver visionato il documento.
Nel testo, che deve ancora passare all’approvazione finale, si dice: “Reiteriamo i nostri impegni espressi nel comunicato finale del G7 di Hiroshima per un accesso universale, adeguato e sostenibile ai servizi sanitari per le donne, compresi i diritti alla riproduzione”. È noto come l’aborto sia incluso tra i servizi sanitari per le donne, e sia esplicitamente compreso tra i diritti alla riproduzione, la cui dettagliata esemplificazione risale alla Convenzione di Istanbul. Per cui lo si potrebbe considerare come un servizio che si attiva su richiesta della donna e le consente di abortire in modo sicuro, senza che si trasformi in un diritto e tanto meno in un diritto da porre in Costituzione, come ha recentemente fatto Macron inserendolo nella Costituzione francese e pretendendo che fosse inserito anche nella Costituzione europea, e forse anche per questo è stato sconfitto così platealmente nelle ultime elezioni europee. La sicurezza con cui una donna che desidera abortire possa farlo, è un diritto. È la sua salute che è un diritto, non l’aborto!
Il dramma dell’aborto, perché di questo si tratta e le evidenze scientifiche confermano senza alcuna ombra di dubbio come fin dal momento del concepimento quell’embrione sia “uno di noi”, va affrontato dalla donna in condizioni di sicurezza, per non mettere a repentaglio la sua vita oltre a quella di suo figlio. Le ragioni perché una donna arrivi a questa decisione sono molteplici e meritano il massimo rispetto proprio perché è nota la sofferenza a cui va incontro prima, durante e dopo. Ma da qui a parlarne di un diritto costituzionale, significa aver perso di vista la complessità di una relazione straordinaria ed irripetibile come è quella che lega madre e figlio. Ribadire la necessità di garantire un accesso universale, adeguato e sostenibile ai servizi sanitari per le donne, compresi i diritti alla riproduzione, implica una ampiezza di prospettive in cui sono compresi tutti i diritti della donna collegati alla sua salute riproduttiva, per cui anche il no secco alle mutilazioni genitali femminili o il no altrettanto fermo all’altro dramma delle spose bambine, per arrivare a stigmatizzare con la massima fermezza e chiarezza anche gli stupri di guerra o le mille altre forme di violenza che le donne subiscono.
E su queste anche Joe Biden dovrebbe concentrarsi, se davvero intende non cedere sul tema dei diritti, ed Emmanuel Macron dovrebbe più che mai riflettere su questo punto senza pretendere che venga mantenuto il passaggio sul diritto all’aborto nel documento finale del G7. In ogni caso oggi al G7, per la prima volta nella storia, ci sarà anche Papa Francesco ed è abbastanza facile attendersi che parlerà di pace e del diritto alla pace che i popoli hanno, cercando con incontri diversi, in parte condivisi e in parte bilaterali, di mettere in pole position il tema della pace e della ricostruzione di paesi martoriati come l’Ucraina o l’intera Striscia di Gaza. Difficile che possa parlare in favore del diritto all’aborto, dal momento che è il diritto alla vita quello che con la fine dei conflitti armati si vuole rimettere al centro dell’attenzione. La regia sarà soprattutto della Meloni, ma è auspicabile e quasi scontato che Papa Francesco le darà tutto l’aiuto necessario a ridimensionare quello che non è un diritto, ma una scelta triste e dolorosa.
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