L’AUTODISTRUZIONE DEL PD. L’ANALISI DI DATAROOM SUI NUMERI: 8 SEGRETARI, 3 CORRENTI E MANDATI MAI CONCLUSI

«Il Pd, in 16 anni di vita, ha perso 6 milioni di voti, cambiato 9 segretari e subito tre scissioni»: in fondo bastava la frase detta da Gianni Cuperlo nell’ultimo confronto tv a “Mezz’ora in più” sulle Primarie Dem per far capire il senso di un partito che nei fatti si è “autodistrutto” arrivando oggi al dato minimo nei sondaggi nazionali che vede il Partito Democratico relegato al 14-15%, superato a sinistra anche dal M5s. Sul “Corriere della Sera” l’analisi è ben più approfondita e viene fatta da Milena Gabanelli con il team di “DatoRoom”: cambiano alcuni dati ma il senso della sfida interna al Pd è tutt’altro che dissimile. Se si aggiungono i problemi attuali legati alle correnti a fianco dei candidati per il Congresso e l’ingresso dell’ex M5s Dino Giarrusso (ma ci sono voci anche per un clamoroso passaggio di Di Maio e Spadafora tra le file Dem, ndr) ecco che la “polveriera” interna al partito ‘fondatore’ del Centrosinistra è servita.



Il grande partito del Pd, nato nel 2007 dall’idea di Walter Veltroni, è riddato ai minimi termini ormai: «il Pd è riuscito a sbriciolarsi da solo», commenta Gabanelli indicando i numeri della crisi. In 15 anni 8 segretari, con il nono in arrivo dopo le Primarie 2023: Veltroni, Franceschini, Bersani, Epifani, Renzi, Martina, Zingaretti, Letta. Tecnicamente da statuto il segretario del Partito Democratico dovrebbe durare in carica 4 anni, ma è evidente come questi conti siano saltati più e più volte in questi anni: «Il più longevo, e al tempo stesso il più divisivo, è Renzi, l’unico a vincere due volte la sfida per la segreteria: oggi è leader di un altro partito. Nessuno ha mai concluso il mandato di quattro anni previsto dallo Statuto», sottolinea DataRoom. I motivi delle dimissioni poi sono stati svariati ma possono essere ricondotti a sostanziali 2 ragioni: la sconfitta elettorale o la spaccatura del partito diviso in correnti. Già, le correnti Pd, il vero nodo della crisi: tre principali – Ala Sinistra, Area Dem e Base Riformista – con però 5 sottogruppi e un “magma” in continuo movimento pure in questi mesi pre-Primarie.



PRIMARIE PD, CHI STA CON CHI: GABANELLI “RISCHIO SPACCATURA AL CONGRESSO”

Una prova della crisi interna, secondo Milena Gabanelli, è che nessuno dei 4 candidati alle Primarie Pd del 26 febbraio (ai gazebo arriveranno i due più votati nella fase 1, ovvero i voti nei circoli dal 3 al 12 febbraio) è espressione di una corrente compatta o di un cartello omogeneo. Stefano Bonaccini, Elly Schlein, Paola De Micheli e Gianni Cuperlo vengono appoggiati, sostenuti e discussi da una composizione tutt’altro che semplice da identificare tra le varie correnti esistenti nel Partito Democratico. L’auto-sbriciolatura vede al momento questa situazione, delineata da DataRoom, interna alle correnti Pd: in Ala Sinistra trovano spazio ben 5 sub-movimenti, ovvero Giovani Turchi (Orfini e Gribaudo i principali esponenti), Sinistra Dem (Cuperlo), Dems (Orlando, Provenzano, Rossomando), Prossima (Zingaretti, Furfaro, D’Elia) e Coraggio Pd (Benifei e Scarpa); in Area Dem si stanziano Franceschini, Fassino, Mirabelli, De Biase e Astorre; Base Riformista (gli ex renziani, ndr) è la corrente di Guerini, Malpezzi e D’Alfonso.



L’autodistruzione in più parti e la “balcanizzazione” rischia di peggiorare con le prossime Primarie visto lo scontro interno attorno ai 4 candidati: secondo l’analisi di Gabanelli, con Bonaccini troviamo infatti Coraggio Pd, Giovani Turchi, Area Dem, la componente più “lettiana” (l’attuale Segreteria di Letta), Base Riformista, Amministratori locali e Presidenti di 3 regioni (Giani, De Luca e lo stesso Bonaccini). Con Schlein invece si posizionano Dems, Prossima, parte di Area Dem (più vicina a Franceschini) e altri lettiani: più ridotte le speranze per Cuperlo e De Micheli, ma la divisione interna delle singole correnti è ormai conclamata con la medesima corrente schierata magari su più candidati. Come sottolinea DataRoom chiudendo l’analisi sulle Primarie, «la forza del nuovo segretario/a dipenderà dall’affluenza ai gazebo: passata dai 3,5 milioni del 2007 per Veltroni a 1,6 del 2019 per Zingaretti. Se diminuiscono ancora, sarà complicato adempiere al mandato, che è quello di riportare voti a un partito al minimo storico, e castigato proprio per le sue guerre intestine».