Dal tavolo governativo sulle autonomie regionali emerge l’ennesima polemica tra i pentastellati e la Lega. I primi attribuiscono al partito del nord l’intenzione di voler introdurre le gabbie salariali differenziando le retribuzioni nel settore pubblico. L’argomento è mal riposto, infatti lo scontro è un derivato del dissenso sulle competenze. Se si trasferiscono le stesse e le risorse alle regioni è del tutto evidente che anche i contratti collettivi dovranno essere sottoscritti su base regionale. Come del resto avviene attualmente per i dipendenti pubblici delle regioni stesse. Ma la polemica dimostra bene lo stato di confusione che regna nel Governo in tema di politica salariale.
Sul tavolo del salario minimo infatti l’indirizzo è esattamente l’opposto. Cioè innalzare in modo pesante i minimi dei contratti collettivi nazionali. Infatti, la proposta di introdurre un salario minimo legale stimato in 9 euro l’ora si discosta sensibilmente dal proposito di offrire una tutela ai lavoratori privi di copertura contrattuale. Secondo le stime dei proponenti, il 20% dei lavoratori beneficiari dovrebbe essere soprattutto a bassa qualifica dei contratti collettivi vigenti. Altra cosa dai salari minimi legali applicati negli altri paesi che si collocano mediamente su valori del 20-30% inferiori alle medie salariali dei contratti collettivi.
Di conseguenza l’obiettivo diventa quello di alzare per legge i salari contrattuali e i costi delle imprese, costringendo i Contratti collettivi nazionali a riparametrare verso l’alto le retribuzioni delle qualifiche superiori. Obiettivo confermato dal Prof. Tridico , guru dei 5 stelle sulla materia e attuale presidente dell’Inps, che calcola un costo aggiuntivo per le imprese di 8-9 miliardi di euro.
Qualche dubbio ai nostri sovviene. Vuoi vedere che anziché alzare i salari aumentiamo il costi del lavoro incentivando il lavoro sommerso? Allora, affermano sempre i nostri, mettiamo in carico allo Stato una parte contributi sociali delle aziende. E ti pareva… lo Stato che deve finanziare anche gli aumenti salariali, non bastasse la necessità di trovare risorse nella prossima Legge di bilancio per annullare le clausole Iva e coprire i costi della flat tax.
I sindacalisti, quelli che secondo i proponenti non tutelano adeguatamente i lavoratori, avevano cercato di evidenziare ai nostri che le retribuzioni contrattuali effettive, calcolando non solo le retribuzioni base ma anche gli effetti retributivi indiretti, sono ben al di sopra dei 9 euro orari. A quanto pare senza successo. Meglio complicare la vita alle imprese, ai lavoratori, e agli ispettori del lavoro con calcoli astrusi e privi di significato.
Tutta questa confusione finisce per delegittimare un sistema di contrattazione collettiva che tutela l’80% dei lavoratori e per offrire un appiglio legale alle aziende che non vogliono applicare i contratti collettivi. In buona sostanza da un lato si cerca di forzare la politica salariale nazionale dei contratti collettivi, caricandone i costi sullo Stato. Dall’altro si rivendica la necessità di differenziare le retribuzioni tenendo conto delle realtà economiche dei mercati del lavoro territoriali. Apprendisti stregoni all’opera. Vediamo cos’altro si inventano nei prossimi giorni.