Gabriel Natale Hjorth chi è: il secondo ragazzo in carcere per l’omicidio di Mario Cerciello Rega
Christian Gabriel Natale Hjorth è uno dei due giovani americani condannati in Appello per l’omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri, Mario Cerciello Rega, avvenuto nel cuore di Roma, quartiere Prati, la notte del 26 luglio 2019. Natale si trovava in vacanza con l’amico Finnegan Lee Elder, quest’ultimo ritenuto l’aggressore materiale che sferrò le undici coltellate mortali. Nel maggio 2021, dopo il processo in primo grado i due amici furono condannati all’ergastolo, pena ridotta in Appello nel marzo scorso. Il pg aveva chiesto la riduzione a 24 anni a carico di Hjorth, poi condannato dalla Corte d’Assise d’appello di Roma a 22 anni.
Gabriel Natale Hjorth, tuttavia, da imputato si è trasformato in parte offesa nell’ambito del processo che cerca di fare luce sulle eventuali responsabilità rispetto al trattamento che l’americano ricevette dai carabinieri dopo il fermo. Imputato, come riferisce Il Fatto Quotidiano, per “misura di rigore non consentita dalla legge”, è il maresciallo capo Fabio Manganaro. Il caso dell’omicidio di Cerciello Rega divenne noto in tutto il mondo anche per via di uno scatto che immortalava Gabriel Natale Hjorth, bendato, mentre era negli uffici del Nucleo Investigativo. Quella foto giunse alla stampa nei giorni successivi ai fatti dando il via ad una indagine interna, la segnalazione in Procura e la rimozione di Manganaro dall’incarico. Nel febbraio del 2020 fu diffuso anche un video dell’interrogatorio all’allora 18enne che secondo la difesa dell’americano “documenta in maniera evidente non solo il trattamento umiliante e contrario alla dignità della persona al quale è stato sottoposto Gabriel Natale Hjorth”.
Gabriel Natale Hjorth parte offesa nel processo per il trattamento ricevuto
Nel corso dell’udienza che si è svolta nei giorni scorsi, Gabriel Natale Hjorth ha ripercorso i momenti del fermo in seguito all’omicidio di Mario Cerciello Rega. Lui e l’amico Finnegan Lee Elder furono trovati poche ore dopo nell’albergo dove alloggiavano: “I carabinieri sono arrivati armi in pugno nella nostra stanza dell’albergo, ci hanno fatto spogliare e fare flessioni nudi, ci hanno scattato foto con telefonini. Poi ci hanno fatto rivestire e ci hanno portato fuori, poco prima di farmi salire in macchina mi hanno messo una tovaglia in testa”, ha raccontato, come riferisce Il Fatto Quotidiano in un articolo del 25 marzo scorso.
Il suo racconto è proseguito: “Avevo paura, non sapevo dove mi stessero portando, e se provavo ad alzare la testa mi davano gomitate”. Una volta in caserma, poi, le violenze sarebbero continuate: “mi hanno tolto la tovaglia dalla testa e mi hanno buttato faccia a terra, mi hanno ammanettato e preso a ginocchiate. Poi mi hanno messo su una sedia e da dietro qualcuno mi ha bendato. In quella situazione sentivo che mi dicevano “Hai i minuti contati, la pagherai””.