Gabriel Romanelli è l’unico parroco di Gaza. L’esponente della Chiesa cattolica, lo scorso 8 ottobre, era a Betlemme. È qui che è rimasto dall’inizio della guerra, poiché le autorità di Israele gli hanno vietato il rientro. “La situazione è drammatica. Tutti quelli con cui parlo mi dicono che nessun luogo adesso è sicuro e che per questo molte persone non vogliono neanche abbandonare le loro case. I bombardamenti sono continui e alcuni sono morti durante lo sgombero”, ha raccontato a Repubblica.



Prima del conflitto, il parroco si occupava di assistere 135 fedeli. Una piccola parte dei 1.000 cristiani che abitano nella Striscia. “La Chiesa cattolica ha cinque strutture, in tutte ci sono dei rifugiati. I nostri parrocchiani, i 54 bambini disabili assistiti dalle suore di Madre Teresa, alcuni anziani e malati, alcuni dei poveri che aiutiamo da anni, poi anche altre persone che vengono dalle altre chiese, come quella ortodossa. Di sera dormono sul pavimento perché hanno paura di stare nelle zone più vicine alla strada. Il timore è che crolli tutto”, ha ammesso.



Gabriel Romanelli, l’unico parroco cattolico di Gaza: il racconto della guerra

Il parroco cattolico Gabriel Romanelli ha avuto in questi giorni dei colloqui con Israele, che gli ha assicurato di non avere inserito tra i suoi obiettivi le strutture della chiesa di Gaza, ma i bombardamenti hanno colpito qualsiasi zona e nessuno è esente da rischi. Anche senza attacchi diretti, inoltre, sopravvivere non è semplice. “Mancano elettricità, acqua, medicine. Negli ospedali si opera senza anestesia, ci sono 18 mila feriti. I generatori, i pannelli solari, tutto quello che era stato messo per sopperire alla cronica mancanza di energia non funziona più”.



La situazione è drammatica e anche Papa Francesco ha voluto manifestargli il suo sostegno. “Mi chiama quasi tutti i giorni: parla me o, se riesce a prendere la linea, con Abuna Yusuf, il mio vicario. A volte mette il viva voce in parrocchia e fa ascoltare la sua voce ai fedeli. Ci ha chiesto di proteggere i bambini, perché sa che sono disabili e hanno più bisogno di aiuto degli altri. Sentirlo vicino è importante”, ha concluso.