Il 10 dicembre del 2021 è uscito per l’etichetta OTR-Live Tutto Daccapo, il terzo album di Gabriella Martinelli, cantautrice e polistrumentista tarantina, vincitrice di Area Sanremo nel 2019. Nove tracce, più una bonus track, caratterizzate dalle tante influenze musicali di cui questa artista si nutre, e racchiuse in un progetto nuovo e originale, che contiene – come lei stessa ama sottolineare – le sue «moltitudini». Tutto Daccapo è un disco pieno di vita, di suoni e di immagini che rappresentano un’epoca, ma anche una generazione, pronta ad accogliere paure, incertezze e precarietà e trasformarle in musica. Plasmare le attese, raccontare il personale costruendo mondi che appartengono a tutti, evocare la leggerezza come consolazione primaria, in un momento in cui persino l’aria è pesante, sono solo alcune delle caratteristiche migliori di questo album, che già dal titolo è un invito a mantenere vivo il desiderio di ripartire, sempre.



Gabriella, cosa significa (o è significato) ripartire daccapo?

Ricominciare daccapo per me significa continuamente fare tesoro delle esperienze passate e provare a migliorarmi. Non ho paura di voltare pagina nell’ottica di andare avanti. Bowie, uno dei miei artisti di riferimento, è stato l’esempio migliore di chi sapeva passare da un periodo all’altro rinnegando o rinnovando completamente quello precedente. Lo faceva calandosi appieno in ogni suo personaggio per poi abbandonarlo, con una leggerezza e un’onestà forti di chi vive ogni momento come fosse l’ultimo. E io aspiro ad essere un’artista così, che brama continuamente di ricerca del nuovo, rimodulando di volta in volta la mia cifra stilistica. Non so chi sarò tra un anno, né dove. Ho vissuto un periodo della mia vita da busker. Sono figlia delle mie moltitudini che spesso non si assomigliano, ma convivono sulla stessa tela. Ho scritto il mio ultimo disco sperimentando il più possibile con il sound e la scrittura, senza pormi limiti e circondandomi di professionisti sensibili e curiosi, a partire dai miei musicisti e da chi ne ha curato la produzione artistica. E non ci sono classificazioni e definizioni nella mia versione personale di ciò che amo di più e che mi diverte chiamare rock.



Quando hai sentito che era il momento di farlo?

Tutto daccapo nasce in pieno lockdown, un periodo che credo abbia segnato e insegnato molto ad ognuno di noi. Nulla è per sempre, l’ormai non esiste e ogni momento può essere quello giusto, però ci vuole coraggio. Sono stati mesi lunghissimi, di viaggi in treno con le bocche coperte, di giornate in studio a cercare il mondo, di tramonti corti su case di ringhiera. Ho camminato molto, ho cambiato casa, città, mi è mancato il fiato, ho iniziato a respirare in modo diverso. Ho ballato, ho pianto tantissimo. Ho tagliato i capelli e non li avevo mai tagliati così tanto. Ho scoperto che si può lasciar andare qualche nodo di troppo, che a volte ci si deve prendere del tempo. Ho iniziato a dipingere e la pittura ha ispirato moltissimo anche la mia scrittura. Ho sentito forte la necessità di non girare troppo attorno alle cose. Ho usato parole della quotidianità, a volte anche piuttosto dure. Ho raccontato la società di cui sono figlia, precaria, incastrata spesso nelle abitudini, addormentata, ma sognante e creativa.



Quanto è stato complesso realizzare questo disco? Cosa rappresenta per te?

Tutto daccapo rappresenta per me una rinascita, una nuova sfida, un altro passaggio. Lavorarci è stato divertente. Alcune canzoni sono uscite in maniera molto istintiva, di getto, come Si può essere felici, scritta in poche ore con Erriquez della Bandabardó, un inno alla vita. Ho voluto omaggiare Erriquez condividendo anche il provino del brano nella sua purezza e autenticità, come bonus track. È un disco vario che spazia dal pop al rock con un grande uso dell’elettronica. La produzione è stata realizzata nell’ambito del programma LAZIOSound di GenerAzioni Giovani, che ha aiutato a sostenere parte dei costi del lavoro, in un anno complesso anche per il mondo della musica.

Quali sono le principali influenze musicali che attraversano il tuo lavoro?

Sicuramente i cantautori del passato sono stati per me un primo riferimento e credo che mi abbiano dato un imprinting forte, dalla cui poetica cerco di trarre continuamente insegnamento. Ma sono onnivora. Ascolto davvero tutto, anche cose lontanissime dal mio universo, per capire cosa succede attorno a me. Dentro questo disco ci sono i Muse, Bob Marley, Prince, St. Vincent, Meg Myers, Donatella Rettore. Ho creato una playlist sulla mia pagina Spotify con tutti brani che hanno ispirato la scrittura di questo mio ultimo lavoro discografico. Se siete curiosi, v’invito ad ascoltarla.

Cosa del tuo passato artistico ti porti dietro, cosa rappresenta meglio il tuo presente e cosa desideri per il futuro della musica?

La mia anima artistica è identica a quella di anni fa. Il progetto si arricchisce sempre di nuove esperienze e influenze. Quello che cambia è l’architettura, cambiano i colori, forse. Oggi mi sento più consapevole. Ma restano in vita le gambe lunghe di “Esseri sottili”, che nuotano nel mare della vita con fiducia. Rimane la voglia di fare musica per raccontare storie, ma anche per farmi promotrice di piccole (e grandi) battaglie. Uno dei temi principali dell’album è l’abbattimento dei confini, degli stereotipi di genere. Tutto daccapo è stato anticipato dal singolo Dove vivi tu che parla di amore libero che non conosce violenza né imposizioni, che va oltre le convenzioni sociali. Amore che mi sono divertita a definire anche ‘stupido’ nell’associazione al concetto di libertà e di incoscienza. In un futuro prossimo mi auguro di suonare e portare in giro questo disco il più possibile. Guardando più in là mi auguro di fare questo lavoro al meglio per tutta la vita.

Una canzone dell’album da ascoltare insieme prima di salutarci.

Mi piacerebbe salutarvi con la title track del disco, augurandovi di rinascere tutte le volte che vi pare, vivendo da visionari, con le mani sul mondo.