“LA SCUOLA COSÌ NON FUNZIONA”: DAI GENITORI AI CONCORSI DOCENTI, IL PUNTO CON IL FILOSOFO GALIMBERTI

La scuola è in crisi, come la famiglia e il futuro e così i giovani devono riscoprire un elemento chiave per la loro sopravvivenza, il desiderio. Di questo e molto altro hanno discusso il filosofo Umberto Galimberti e il giornalista Corrado Augias nell’ultima puntata di “La Torre di Babele” su La7, partendo dalla provocazione lanciata dal professore in merito al rapporto complesso tra genitori, ragazzi e insegnanti. «Nelle scuole abolirei la presenza dei genitori dalla scuola superiore», avanza Galimberti sottolineando come in molte famiglie ormai è subentrato un qualcosa di simile al “protezionismo” nei confronti dei figli, con i genitori che tendono sempre più a divenire «amici dei figli». Ciò crea però due danni su tutti secondo il filosofo: «Primo, non sono interessati alla formazione dei figli, ma solo alla promozione. Secondo, i genitori evitano al figlio il processo iniziatico per cui è l’alunno che deve parlare con il professore».



Parlando del suo passato da insegnante negli anni Sessanta-Settanta, Galimberti sottolinea di aver introdotto a suo modo l’abolizione del ricevimento dei genitori durante il liceo: «quando era piccolo la mia maestra mi ha rotto il naso con l’anello, mia mamma poi ha aggiunto due schiaffi. Questa è la vera collaborazione tra scuola e famiglia», rileva ironicamente lo scrittore. Il tema chiave resta però quello dell’educazione, aggiunte subito dopo: «La scuola italiana quando ci riesce istruisce, ma non educa. Per educare c’è bisogno di avere delle classi di 12-15 persone. Se ne ho 30 non posso educare. Soprattutto se i professori non hanno mai incontrato un libro di psicologia educativa». Risulta allora inutile chiamare gli psicologi in classe, attacca Galimberti, se poi i docenti invece che parlare con gli studenti e per gli studenti, parlano solo coi genitori dei problemi dei figli.



In particolare sulla figura degli insegnanti, Umberto Galimberti si concentra sulla necessità di andare oltre alla “semplice” formazione con concorsi pubblici: che i docenti siano pagati poco in Italia è questione nota, anche se lo Stato compensa poi la scarsità di stipendio con la «garanzia» di un posto a vita. Serve però incentivare per qualcosa di più: «Per essere carismatici i docenti devono essere empatici. Un docente per fare questo ruolo non è sufficiente che vinca un concorso che misura la sua cultura, è necessario anche che si sottoponga ad un test che misuri se è empatico o meno». Sempre al programma di La7 il filosofo analizza il valore dell’empatia come una vera capacità di capire cosa passa oggi nella testa e nel cuore di chi si ha davanti: «Quelli che non ce l’hanno non sono in grado di relazionarsi con gli altri: se avessero dei figuranti al posto degli studenti sarebbe la stessa cosa». Per questo motivo, secondo Galimberti, i docenti dovrebbero seguire anche corsi di teatro in quanto la cattedra è un po’ come un palcoscenico: «Non è un mestiere insegnare: è passione o disposizione psicologica. Se ci sono queste cose si insegna bene, al contrario si seguono i programmi ministeriali».



GIOVANI E FUTURO, UN PROBLEMA DI DESIDERIO: COSA HA DETTO GALIMBERTI A “LA TORRE DI BABELE”

Ai giovani di oggi, sottolinea ancora il filosofo Galimberti nel dialogo con Augias, manca uno scopo: «il futuro per i giovani non è più una promessa». Secondo il professore, le difficoltà che costringono le giovani generazioni a stare spesso male non sono dovute solo a disagi psicologici, «ma soprattutto per valori culturali». Galimberti spiega del suo passato da insegnante nel liceo: «alla mia epoca il futuro era lì ad aspettarmi, oggi se uno si laurea in filosofia rischia di dover fare qualsiasi cosa nel mondo tranne che insegnare filosofia perché non ci sono le occasioni».

«Oggi manca la risposta ai vari “perché”: perché studiare, perché lavorare, perché stare al mondo. Tanti si suicidano da adolescenti, poi ci sono i milioni di anoressici, autolesionisti, hikikomori (chiusi in camera davanti ad uno schermo e isolati dal mondo, ndr)». I giovani stanno male, lo ripete più volte Galimberti nel suo intervento: «nella vita ci muoviamo non perché qualcosa di spinge ma perché c’è qualcosa che ci attrae. Se il futuro è vuoto allora i giovani possono bere e drogarsi in quanto anestetico», non per il piacere che danno ma per il dolore che eliminano. Le droga, conclude il filosofo, anestetizza i giovani dall’angoscia che provano ogni volta che sporgono lo sguardo sul futuro, «e allora vivono nell’assoluto presente. Il futuro per loro non è attraente, non è motivante». Galimberti non lo “chiama per nome” ma ci permettiamo di aggiungere una piccola postilla: ai giovani, così come a chiunque di noi, per vivere occorre una relazione, un’amore alla realtà che si esprime nell’interezza di un’esperienza scaturita però in maniera indissolubile da un’attrazione: senza “desiderio” l’essere non si muove e non si smuove. Senza “desiderio”, come giustamente dice Galimberti, il futuro resta vuoto e arriva a tramortire tutto e tutti.