L’assunto è semplice: lo strapotere dei pm e del Csm da un lato, il silenzio “connivente” dall’altro di molti intellettuali dagli anni di Tangentopoli fino ai giorni nostri con lo scandalo Palamara che ha solo “rimestato” un andazzo in atto da tempo. Questo è quanto scritto e riscritto, nel suo senso più profondo, da Ernesto Galli della Loggia nell’ultimo editoriale sul Corriere della Sera: oggi sul Riformista Tiziana Maiolo (editorialista con passato sia in Rifondazione Comunista che in Forza Italia più di recente) trae spunto dall’analisi di Galli e vi aggiunge una postilla che aiuta a comprendere meglio il perché di quell’agire “silenzioso” dell’opinione pubblica davanti all’avanzare del potere delle toghe.



«Silvio Berlusconi nelle sue battaglie per una giustizia imparziale aveva ragione (talvolta, dice il professore) ma non lo si poteva dire per la paura di essere appiattiti sulla “destra berlusconiana”»: e così, da Galli della Loggia fino a Maiolo, la paura dei media si tramuta in un effetto deflagrante del dilagare di potere di certi giudici in Italia. Il professore sul CorSera parla di magistratura che ha guadagnato «il silenzio complice di molti», ma qui la Maiolo inizia a prendere distanza: «forse sta parlando di qualche direttore di grandi quotidiani, o di qualche assemblatore di atti giudiziari trasformati in libri, o magari di qualche imprenditore proprietario di giornale. Forse anche lui ricorda gli anni di Tangentopoli e quelli che vennero dopo, fino all’oggi».



GALLI DELLA LOGGIA E LO STRAPOTERE DEI PM

Secondo l’editorialista ex Forza Italia non c’è bisogno «di tornare ai tempi di Romiti e De Benedetti e delle trattative (quelle sì, erano vere) dei loro avvocati con i pubblici ministeri per evitar loro il carcere, per confermare quel che “l’opinione pubblica sapeva” ma solo il trojan di Palamara ha saputo raccontarci». Tornando ai dati di oggi e alle problematiche sollevate dal caso Csm-Anm, la Maiolo spiega come vi sia stato negli ultimi trent’anni un’esaltazione e semi-invincibilità data ai giudici dell’accusa, con l’avvocato difensore e lo stesso magistrato giudicante in netta “minoranza” anche per l’opinione pubblica: «Di questo bisognerebbe parlare quando si narrano gli intrallazzi e le collusioni della magistratura e soprattutto il dis-funzionamento del Csm e il ruolo politico di giudici e pubblici ministeri». E così cita come contrapposizione della sua tesi quanto detto sempre sul Corriere della Sera da Niccolò Ghedini, avvocato di Berlusconi, in merito alla riforma della giustizia: «per lui non si devono separare la carriere di giudici e pm perché è bene che il rappresentante della pubblica accusa mantenga (ma quando mai l’ha avuta?) la “cultura della giurisdizione”».

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