Caro direttore,
forse, e ripeto forse, la scena del Papa da solo in San Pietro non ha la stessa portata storica della cosiddetta cattività avignonese (quando per gli squassi geopolitici di allora dal 1309 al 1377 il Papa spostò la sede da Roma in Francia), ma è indubbio che molte riflessioni ha fatto sorgere.
Il Corriere della Sera in pochi giorni dedica due articoli di intellettuali (Galli della Loggia e Sandro Veronesi) a una lettura potremmo dire diametralmente opposta della situazione attuale e del ruolo che i cattolici vi stanno agendo.
Galli della Loggia “accusa” il papato di Francesco di una lettura ideologica della realtà, sostanzialmente consona a uno spostamento di tipo “orientale”, filocinese, con venature populiste antiamericane. Galli, in modo fine, non accusa il Papa di fare politica, sarebbe banale, ma critica certi elementi ideologici del pensiero di Papa Francesco e la loro eventuale ricaduta (o ininfluenza) sull’attuale riassestamento geopolitico.
Il secondo intervento, dello scrittore Veronesi, invece, sembra esaltare proprio quegli elementi deprecati da Galli e che, secondo lui, a differenza di quanto accade nella cultura laica, rendono il Papa – e i preti, si allarga Veronesi – punti di speranza in questo momento.
Al duo che presta così attenzione alla Chiesa va aggiunto il vicedirettore Polito, recensore e presentatore del libro di Julián Carrón sul momento presente. I presenti vedranno come il Polito difensore dell’etica kantiana di pochi giorni fa sul Corriere potrà confrontarsi e valorizzare l’esaltazione di un’autentica religiosità cristiana che Carrón propone nel libro.
Ma tornando alle due firme filosofiche e letterarie del Corrierone di cui Polito è vicedirettore, direi che hanno entrambi ragione ed entrambi torto. Ragione, perché taluni elementi che i due colgono sono veri. Torto perché sfuggono a un nocciolo della questione, ma forse, paradossalmente, ciò in cui han torto rende la faccenda interessante. In particolare credo sia giusto il fatto che nel Papa Galli ben distingue un carattere ideologico (ma forse sarebbe più giusto chiamarlo ideale – quello che fa ripetere spesso al Papa, ad esempio, “l’attenzione ai poveri non è comunismo, è cristianesimo”) da un livello “politico”. Non che ovviamente certe parole e atteggiamenti della Santa Sede non abbiano riflessi anche politici, ma Galli va oltre e cerca di comprendere elementi più culturali e spirituali in un mondo che cambia.
D’altro canto, Veronesi ha ragione nel notare che per quanto mortificata nelle sue forme pubbliche (da quella piazza vuota al diktat di Conte che neanche Mussolini aveva usato su quali funzioni il clero possa o non possa celebrare) la presenza del Papa e della Chiesa abbia significato per tanti un punto di riferimento positivo e non banalmente ottimista.
Entrambi però non considerano la natura mistica del corpo della Chiesa, che non è un’istituzione come le altre, e la realtà dell’evento di Cristo. Nella loro analisi, in parte condivisibile e in parte no, come è naturale che sia, il senso autentico del cristianesimo e del cattolicesimo non è affrontato. Non emerge. Come se della Chiesa fosse ovvio parlare in termini di Istituzione più o meno intelligente o vivace culturalmente. Cristo scompare. E questo se è un limite nell’analisi di un intellettuale, per un cristiano è una domanda, un’inquietudine, un chiodo, un grido.