A parte il finale che ha lasciato scioccati anche alcuni dei protagonisti de Il Trono di Spade (Game of Thrones) che non si aspettavano tale scelta, la fine della serie sta lasciando traumatizzati molti dei suoi fedeli spettatori. Si è così arrivati al punto di aprire un servizio di supporto psicologico (a pagamento ovviamente) su Skype dove esperti di problemi mentali e profondi conoscitori de Il Trono di Spade cercano di aiutare a superare il trauma della sua fine, cercando di spezzare questo cordone ombelicale che è venuto a formarsi nel corso degli anni. Secondo lo psicologo ed esperto mediatico Alessandro Meluzzi, si tratta di un fenomeno ormai in esistenza da tempo, da quando cioè serie televisive e soap opera sono entrate a far parte «di un mondo virtuale nel quale viviamo, come ad esempio i social network. I divi della filmografia, le serie televisive impattano sul senso della ripetizione nel senso che entrano a far parte delle nostre vite, del nostro quotidiano, la preferenza per una serie o l’altra ci dice qualcosa del nostro carattere e nel dire questo ci dice anche qualcosa dei nostri bisogni e delle nostre aspettative».
MELUZZI, IL TRONO DI SPADE E IL GRIDO DI DOLORE
La reazione di lutto per la fine di una serie televisiva, pensiamo già agli anni 70 e 80 con serie come Dallas o Happy Days, significa «l’entrare in gioco di un meccanismo dove ad esempio la morte di un protagonista deve costringere la serie a incurvarsi sulla base di necessità che la portino a proseguire. La telenovela è diventata l’elemento di proiezione dei nostri desideri, di difesa dalle paure, di identificazione con i personaggi per cui diventano personaggi familiari della nostra quotidianità, una dimensione da cui risulta difficile staccarsi». Non bisogna dimenticarsi, dice ancora Meluzzi, del marketing che viene costruito dietro a questi fenomeni: «l’enfatizzazione e la pubblicizzazione di questo disagio prelude a una nuova serie, la creazione artificiale di un desiderio è la cosa migliore per far sì che la serie venga ripresa visto che dal pubblico si leva un grido di dolore. E’ un test per capire se vale la pena investire nel prosieguo del prodotto televisivo».