GEN.GANZER (EX ROS) CRITICA LA SENTENZA SU TRATTATIVA STATO-MAFIA

Secondo la sentenza d’appello sulla presunta Trattativa Stato-Mafia, le stragi di mafia-Cosa Nostra finirono perché venne in qualche modo “ritardata” la cattura di Bernardo Provenzano in virtù della sua linea “antistragista” dopo aver assunto il comando a seguito della cattura di Totò Riina. Ebbene, secondo l’ex generale del Ros Giampaolo Ganzer, la linea dettata dalla sentenza non rispecchia affatto come andarono le cose in quegli anni durissimi di lotta alla Mafia assieme al generale Mario Mori. È lo stesso generale Ganzer, già comandante dei Ros dei Carabinieri, a scrivere di proprio pugno una lunga riflessione su “Il Dubbio” per provare a dettagliare cosa realmente avvenne con la cattura di Provenzano e con la fine del periodo delle Stragi che misero lo Stato in una “morsa” tra gli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. «La motivazione del processo d’appello sulla cosiddetta “trattativa Stato- mafia”, pur riconoscendo che la finalità dei contatti intrapresi dagli ufficiali del Ros era del tutto legittima, in quanto volta alla cessazione delle stragi e alla tutela dell’incolumità per la collettività nazionale, censura la condotta degli stessi sostenendo che, per preservare una fazione di cosa nostra asseritamente più moderata rispetto alla linea stragista di Riina, avevano “discretamente” protetto la latitanza del vertice di questa componente, Bernardo Provenzano», scrive Ganzer giudicando come “suggestiva” la ricostruzione fatta dalla sentenza in Appello sulla presunta Trattativa.



Anche se indirettamente, ciò che emerge dal processo è decisamente umiliante per chi ha inseguito, pedinato e catturato il principale latitante italiano dopo la cattura di Riina: è come se affermassero che «le attività di ricerca del latitante, arresti di affiliati e favoreggiatori compresi, erano sempre state effettuate con la precisa riserva di evitarne comunque la cattura, che avrebbe pregiudicato lo scopo ultimo dell’operazione». Secondo il generale Ganzer, questa ricostruzione è «totalmente difforme dalla realtà storica, prima ancora che processuale. L’ impegno più dispendioso e incondizionato di risorse umane, tecnologiche ed economiche del Ros, fu infatti la ricerca di Bernardo Provenzano, iniziata poco dopo l’arresto di Riina e proseguita sino alla sua cattura, per oltre un decennio». Fino al 1993, quando Salvatore Cangemi rese spontanea deposizione dopo altrettanto spontanea costituzione, di Provenzano non si avevano affatto notizie.



GANZER SPIEGA COME VENNE CATTURATO PER DAVVERO BERNARDO PROVENZANO

L’ex generale dei Ros ha ribadito la sua linea e testimonianza davanti alla Corte d’Assise di Palermo ma è del tutto insoddisfatto della sentenza raggiunta: secondo Ganzer, «la ricerca del principale latitante di cosa nostra dopo Riina, era il prioritario obiettivo del Ros». Non si riuscì a prenderlo prima per diversi ostacoli avvenuti in fase di indagine, primo tra tutti quanto avvenne nel 1997: qui Ganzer racconta, «del Provenzano fu realmente sfiorata la cattura tra l’autoscuola Primavera di Palermo e Belmonte Mezzagno, dove egli era custodito dall’allora capomandamento mafioso, Francesco Pastoia». Il problema non fu di poco conto all’interno degli inquirenti in quanto, rileva sempre l’ex Ros, «Qualcuno, necessariamente interno alla filiera delle intercettazioni telefoniche, era riuscito tuttavia a metterlo in guardia tempestivamente, e i carabinieri non poterono fare altro che osservare dalle microtelecamere di sorveglianza (queste ultime applicate autonomamente e quindi non note ad altri), le operazioni di bonifica ambientale effettuate dai mafiosi».



Si procedette poi con iscrizioni criptate delle intercettazioni ma ormai era troppo tardi, spiega Ganzer: Provenzano sapeva di essere seguito e quindi fece nuovamente perdere le tracce. È qui che parte una seconda e decisive fase verso la cattura: «Fu tuttavia pazientemente ripreso e ricostruito, passo dopo passo, il percorso dei pizzini utilizzati per comunicare con il Provenzano dagli altri esponenti di cosa nostra. Da un’ enorme azienda agricola di Vittoria (Rg), mimetizzati dal trasporto di ortaggi, i messaggi raggiungevano la provincia di Caltanissetta, per poi proseguire verso Casteldaccia, Baucina, e infine giungere a Bagheria, storica roccaforte del latitante, dove il reggente della famiglia mafiosa, Monreale Onofrio, provvedeva alla consegna finale». Ritenere dunque che si fece “apposta” a ritardare quella cattura è un falso storico oltre che un mancato rispetto per l’attività dei Ros, accusa ancora Giampaolo Gazner su “Il Dubbio”. Scrive l’ex comandante: «La convergenza di indagini e di acquisizioni sulla stessa area, indusse a quel punto la Procura di Palermo (i Pm Pignatone e Prestipino) a procedere massicciamente e contestualmente sulla fitta rete di affiliati e di favoreggiatori, con gli arresti dell’operazione Grande Mandamento, condotta congiuntamente da Ros e Sco della Polizia di Stato, che costrinse il latitante a rifugiarsi nella masseria di Corleone, dove sarebbe stato infine arrestato. In quella circostanza».

“ECCO PERCHÈ FINIRONO LE STRAGI DI MAFIA”: PARLA IL GENERALE GIAMPAOLO GANZER

Un lungo lavoro certosino, fatto di molte tappe in cui a poco poco venne prosciugata progressivamente la rete di favoreggiamento e di supporto logistico a Bernardo Provenzano, all’epoca capo indiscusso di Cosa Nostra: ebbene, secondo il generale Ganzer, «Solo chi legga queste procedure con le lenti colorate del pregiudizio, oppure sopperisca con la fervida fantasia alla minor competenza, può ritenere una quasi- finzione un lavoro estenuante ed irto di difficoltà, in cui ogni scelta operativa può peraltro apparire a posteriori meno indovinata e quindi soggetta a malevoli riletture». Il boss Provenzano per Ganzer, lo sottolinea in più passaggi dei propri rilievi sul quotidiano, non fu mai protetto dallo Stato: «che egli rappresentasse un’ala più moderata dell’organizzazione è frutto di acquisizioni e di valutazioni di molto successive. È pertanto profondamente errata, sotto il profilo logico e giuridico, una lettura dei fatti basata su elementi inesistenti o comunque non disponibili all’epoca», scrive ancora l’ex Ros.

Non solo, il fatto che Provenzano si oppose alle Stragi dopo la morte dei giudici Falcone e Borsellino è tutto da dimostrare: «le stragi non cessarono certo con la cattura di Riina, né consta che il Provenzano ad esse si sia opposto neppur successivamente. Se una spaccatura interna a cosa nostra allora era nota, si trattava di quella tra i corleonesi e i palermitani […] Ma che ve ne fosse un’altra interna ai corleonesi, ammesso che ciò sia esatto, avrebbe richiesto facoltà divinatorie che neppur gli abili ufficiali possedevano». In conclusione, Ganzer sottolinea come l’azione del Ros fu sempre costante e non condizionata da alcun tentennamento «indipendentemente dalle presunte modifiche di strategia di cosa nostra (il cosiddetto inabissamento), dettate peraltro verosimilmente dalla considerazione che lo stragismo non era pagante».