Gli ultimi due anni caratterizzati da una pandemia e, più recentemente, da una guerra ai confini (?) dell’Europa si sono contraddistinti per un’agenda politica certamente anomala e che potremmo dire, inevitabilmente, imposta dall’esterno. Minore enfasi del solito, ad esempio, è stata data al tema, classico di ogni piattaforma politica che si rispetti, del futuro dei giovani e del lavoro che verrà.



Spunto per una riflessione sullo stato di salute del mercato del lavoro dei nostri ragazzi è, in questo quadro, rappresentato dal periodico rapporto che Anpal pubblica con riferimento al progetto di Garanzia Giovani. Un’iniziativa, è opportuno sottolineare, che si caratterizza per una forte dimensione comunitaria e per il tentativo di mettere a sistema le migliore pratiche realizzatesi nei diversi Paesi dell’Unione.



Ciò premesso, dal monitoraggio emerge che, nel nostro Paese, al 31 gennaio 2022 i Neet registrati alla Garanzia Giovani sono 1.650.171, con un incremento di 12.524 unità rispetto al mese di dicembre dello scorso anno. Allo stesso tempo il rapporto sottolinea come siano stati presi in carico dai servizi per l’impiego 1.398.461 giovani (ben l’84,7% dei registrati), in larga misura caratterizzati da un indice di profiling medio-alto e alto (79,7%), ossia con elevate difficoltà di inserimento occupazionale. È stato, quindi, avviato a un intervento di politica attiva il 63,6% dei giovani presi in carico (834.659 unità). Gli interventi erogati sono in totale 1.039.834, in prevalenza tirocini extracurriculari (56%), seguiti da incentivi occupazionali (20%) e formazione (17,3%).



In conclusione, poi, Anpal comunica che su 772.926 giovani che hanno concluso l’intervento, al 31 gennaio si contano 500.782 occupati, con un significativo tasso di inserimento lavorativo del 64,8%. Oltre la metà dei nuovi rapporti di lavoro è, inoltre, a tempo indeterminato (58,6%), sfatando così, almeno parzialmente, il mito del giovane precario quasi per definizione.

Il progressivo ritorno, almeno dal punto di vista sanitario, alla normalità dovrà, quindi, inevitabilmente rimettere il tema del Futuro e delle giovani generazioni al centro del dibattito pubblico. La riflessione non dovrà, e potrà, essere, come un rapporto istituzionale è per definizione, meramente, o perlomeno prevalentemente, quantitativa, ma anche di natura qualitativa e si ritiene auspicabile tornare a riflettere sul tema cruciale del “buon lavoro” e non di un lavoro quale che sia. 

In questa direzione è interessante, ad esempio, l’intervento del Governo per la ridefinizione dello strumento del tirocinio che si ritiene sia, in molti casi, stato snaturato e utilizzato in maniera inappropriata. L’auspicio è che non prevalga, come spesso in passato, un approccio ideologico e che si trovi una soluzione dettata dal buon senso che non sia, alla fine, punitiva per i giovani e per le imprese che utilizzano in maniera corretta questo prezioso strumento di inserimento nel mercato del lavoro.

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