Delitto di Garlasco, dopo la svolta dell’analisi del Dna trovato sotto le unghie di Chiara Poggi, compatibile con quello di Andrea Sempio, parla il genetista Francesco De Stefano, che effettuò la prima perizia sulle tracce biologiche, dalle quali emersero subito due profili differenti appartenenti a individui di sesso maschile evidenziati con la presenza del cromosoma Y. Il professore, alla luce dei nuovi risultati, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, ricorda le motivazioni per le quali all’epoca non fu possibile identificare un imputato, affermando che quel giorno l’esame produsse tre risultati diversi che poi non furono replicati.
Una condizione molto importante per poter attribuire la traccia ad una specifica persona, anche perchè poi si ipotizzò che poteva essere stata trasferita non da contatto diretto ma tramite oggetti. “Leggo che ci si chiede come è potuto rimanere così tanti giorni il Dna su qualche oggetto toccato dall’indagato e poi dalla ragazza“, dice, aggiungendo: “Il Dna può degradarsi ma rimane, anche su un computer o su una maniglia di una porta“, e questo dettaglio portò alla conclusione che le molecole siano arrivate alle unghie proprio grazie a questo processo.
Il genetista che firmò la prima perizia Dna di Garlasco: “Resta valida la mia tesi, ho dubbi sull’attendibilità del software”
Francesco De Stefano, il genetista della prima perizia sul Dna rinvenuto sotto le unghie di Chiara Poggi, afferma che l’identificazione di Andrea Sempio potrebbe non essere attendibile, perchè i nuovi risultati sono stati elaborati grazie ad un software avanzato, che però analizza dati che sono stati messi insieme senza sapere che appartengono a marcatori diversi. Spiegando il processo: “Se io trovo quattro marcatori sotto un’unghia, due sotto un’altra e tre sotto un’altra ancora non ne ho trovati nove da inserire tutti assieme nel software, ma glielo devi dire che sono tre dati diversi“, aggiungendo anche che nella comunità scientifica c’è da sempre un certo scetticismo nei confronti di questo tipo di tecnologie.
Ribadendo poi la tesi formulata inizialmente: “Se mi smentiranno ne prenderò atto. Ma venirmi a dire che con quei dati si sarebbe potuta fare un’identificazione, mi cadono le braccia“. Il professore, che ora è in pensione, pur accettando i progressi che hanno portato alle nuove indagini resta convinto dell’attendibilità della prima perizia e critica l’atteggiamento del “Voler trovare a tutti i costi un risultato”, dicendo: “Oggi c’è troppo narcisismo ricostruttivo, a volte si arriva a risultati che dovrebbero restare indecifrabili” e conclude: “È importante capire dove ci si deve fermare“.