Una coda, anche minima, al gran processo e caso mediatico di Garlasco – il delitto di Chiara Poggi per il quale è stato condannato in Cassazione l’ex fidanzato Alberto Stasi – che però potrebbe avere ripercussioni tanto per la giurisprudenza quanto per potenziali e assai delicate implicazioni etiche-privacy. Il caso di Andrea Sempio, l’amico del fratello di Chiara Poggi per alcuni mesi indagato come potenziale killer della ragazza di Garlasco, viene raccontato dal Corriere della Sera dopo che è stato scagionato appena prima di Natale in merito al filone del processo da lui stesso cominciato per lamentare il trattamento ricevuto e il “furto” di Dna a sua insaputa. Nel 2015 Alberto Stasi viene condannato in via definitiva a 16 anni per l’assassinio il 13 agosto 2007 della fidanzata Chiara Poggi a Garlasco: fin qui tutto “noto”, lo è meno il fatto che a fine 2016 alcune indagini della difesa di Stasi provano a dimostrare la verità di Alberto e la sua scagionabilità per la presenza di materiale genetico sotto le unghie di Chiara e il Dna di un amico del fratello, per l’appunto Andrea Sempio. In tutti i processi quel Dna sotto le unghie era risultato inidoneo a qualunque comparazione: non solo, l’assassino calzava il 42 mentre Sempio ha il 44. Per questo motivo i magistrati di Pavia, per via delle novità proposte dal difensore Angelo Giarda ma anche con le conferme degli esami scientifici, a fine nel 2017 archiviano Sempio.



IL CASO DEL DNA “RUBATO” A GARLASCO

È a quel punto che l’imputato presenta esposto perché ritiene che sia stata violata la sua sfera personale con il recupero del Dna: la gip Elisabetta Meyer ordina di iscrivere nel registro degli indagati i detectives della «Skp Investigazioni srl» e l’allora avvocato di Stasi. Il procuratore aggiunto De Pasquale prima di Natale chiede per la seconda volta l’archiviazione additando motivi piuttosto “importanti” per potenziali sviluppi futuri: spiega il Corriere della Sea, come in primis la procedura di recupero del Dna, seppur fatta senza il consenso di Sempio e a sua insaputa, «sarebbe stata non invasiva e non lesiva della sua integrità personale». Non solo, il caso lamentato da Sempio è molto più approfondito: l’investigatore privato di Stasi ha prelevato «la tazzina di caffè e il cucchiaino presso il bar dove erano stati lasciati da Sempio, mentre la bottiglietta di plastica veniva recuperata da un sacchetto di rifiuti gettati da Sempio in un cassonetto dell’ipermercato». In questo modo, «Sempio se ne è già separato» di quegli oggetti, «lontano dalla sua disponibilità, senza alcuna modalità coattiva, né con violenza, né contro la sua volontà, senza incidenza sulla sua sfera di libertà». Ovviamente la difesa di Sempio si oppone all’archiviazione dei detective di Stasi ma per il momento non sembrano esserci motivi bastevoli per riconoscere l’offesa all’amico del fratello di Chiara Poggi: se così venisse poi confermato, si rischia fortemente che «il diritto alla tutela dell’altrui privacy nel trattamento di dati genetici di persone non consenzienti o inconsapevoli non viene rispettato se da essi derivino il coinvolgimento in indagini e quindi conseguenze su libertà e reputazione», conclude il Corriere della Sera.

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