Per noi “ragazzi degli anni 70” quel programma tv era il momento più atteso della settimana. Negli anni 60 ci eravamo nutriti delle fantastiche avventure di Zorro, dei cartoni di Topolino, delle comiche di Stanlio e Onlio. Poi crescendo desideravamo di più, spalancarci alla vita, al suo fascino, al mistero in essa contenuta. Allora la televisione era ben fatta, non era quel contenitore spazzatura di programmi con personaggi inventati, vip da quattro soldi, donnine isteriche, amanti muscolosi. No, allora la tv ci educava veramente. Fu così che irruppe (in realtà già nel 1965, andando avanti per dieci anni) il programma “Avventura”, tra i cui curatori anche un giovane Mino Damato. Avventura era una trasmissione dedicata ai documentari sulla natura o alle imprese di esplorazione in luoghi impervi o sconosciuti, alla scoperta di popoli lontani, a culture diverse e tutto questo portando virtualmente i giovani sul posto stesso in cui le cose accadevano, faccia a faccia con leoni, balene e tigri. Un vero viaggio intorno al mondo in un palinsensto televisivo che si dimostrava nei confronti di noi ex bambini estremamente didattico ed educativo.



Ma la cosa che lo rendeva speciale erano la sigla di apertura e di chiusura. La grande musica rock ci veniva incontro e ci spalancava un altro mondo ancora più affascinante e misterioso. L’apertura era affidata a Joe Cocker con un brano dei Beatles, She came in through the bathroom window, una versione ruggente e potente. Ma era soprattuto la sigla di chiusura a darci un senso di mistero, di nostalgia per le cose viste, di voglia appunto di avventura. Era una canzone che cominciava con il rumore del mare e le voci dei gabbiani. Poi un pianoforte e una voce roca e piena di sentimento. La canzone, scoprimmo tempo dopo, si intitolava A salty dog, un lupo di mare e ci cantava delle avventure negli oceani infiniti. Il “salty dog” è un “lupo di mare”, un vecchio capitano che ha doppiato Capo Horn innumerevoli volte, al quale il protagonista affida simbolicamente le sue malinconiche riflessioni sulla libertà che svanisce e sulla necessità di prendere terra.



La voce apparteneva a Gary Brooker cantante del gruppo inglese Procol Harum. Solo dopo avremmo scoperto che avevano già inciso un brano memorabile, andato direttamente al primo posto delle classifiche, la meravigliosa A whiter shade of pale. Un brano impostato sull’uso allora inedito (ma in realtà ispirato a quanto faceva già Bob Dylan) in contemporaneadi pianoforte e tastiera Hammond, che si incrociavano potenti e suggestivi. Una canzone che, scoprimmo, cantava di una scappatella sessuale di un personaggio ubriaco finita male. Eppure la canzone sfida un’interpretazione specifica, evocando invece varie sfumature di malinconia che sono abbellite dalla musica lugubre e dalla espressione vocale dolorosa di Brooker. Lo si capiva dal magnifico titolo, “Una tonalità più bianca del pallido”.



Il gruppo già agli esordi voleva fondere insieme musica classica e rock. Il riff piano-organo trae ispirazione dal brano classico Aria sulla quarta corda con alcune componenti della cantata BWV 140 Wachet auf, ruft uns die Stimme, entrambi opere di Johann Sebastian Bach. Il groove del ritornello invece, si ispira a When a Man Loves a Woman, di Percy Sledge, brano uscito l’anno prima.

In Italia venne incisa con successo dai Dik Dik con la traduzione di Mogol. Gary Brooker è morto a 76 anni di età, è rimasto attivo fino all’ultimo, continuando a esibirsi in pubblico con le sue meravigliose canzoni. Si chiude un’epoca storica, per noi “ragazzini degli anni 70”, cresciuti ed educati con il senso dell’avventura e del mistero. Siamo stati fortunati.