Dopo la firma dell’accordo di Eni con l’Egitto per la fornitura di gas liquefatto fino a 3 miliardi di metri cubi, il Segretario del Pd Letta ha commentato esprimendo “moltissimi dubbi” perché “la vicenda Regeni va oltre il singolo dramma personale, è un simbolo della necessità di difendere i diritti umani e di fare giustizia. È pertanto netta la nostra richiesta al Governo di essere più forte ed esigente nei confronti degli egiziani”.
Il contesto, ricordiamo, è quello di un Paese che dipende per il 40% delle sue importazioni di gas, circa 30 miliardi di metri cubi, dalla Russia e che sta, si spera, disperatamente cercando di trovare alternative; in questo tentativo l’Italia non è “sola”, ma compete sia contro Paesi europei, sia contro quelli asiatici perché la risorsa, che già era scarsa prima, oggi, nel nuovo contesto geopolitico, lo è ancora di più.
L’Eni ha un rapporto decennale con l’Egitto che è sopravvissuto a molti sviluppi politici sia a Roma che al Cairo; i rapporti hanno avuto una considerevole svolta quando, prima dell’omicidio Regeni, Eni ha scoperto uno dei più grandi giacimenti di gas degli ultimi due decenni: Zohr. La produzione di gas ha risollevato l’economia egiziana e il suo Pil e, probabilmente, ha aiutato in misura determinante la posizione di Al-Sisi. Zohr è stato ed è uno degli elementi decisivi della ripresa economica egiziana. La vicenda Regeni, in questo contesto, è quasi incomprensibile. È naturale quindi che l’Italia, a cui l’Egitto deve un grande o forse grandissimo favore, si rivolga a una suo partner naturale nell’attuale emergenza. Infatti, da settimane si convive con lo spettro di un blocco delle forniture di gas russo che avrebbe conseguenze drammatiche per la società e l’economia italiane. Oggi, “solo” per i rincari energetici, un sesto delle imprese italiane, questa la stima del Presidente di Confindustria Bonomi, rischia di chiudere; altre associazioni imprenditoriali stimano percentuali più alte. Senza il gas russo queste percentuali sono stime conservative.
L’Italia non ha alcuna intenzione di cambiare approccio alla transizione energetica e ci sono diversi miliardi di metri cubi di gas “italiani” che non vengono estratti esclusivamente per una decisione politica. Molti dei Paesi produttori a cui l’Italia si rivolge non brillano né per democrazia, né per valori liberali, né per rispetto dei diritti umani.
Torniamo all’Egitto. Il nostro partner d’elezione all’interno dell’Unione europea, che ci rappresenta a pieno nei consessi internazionali e a cui, pare, abbiamo appaltato la nostra politica estera, da anni vende all’Egitto armamenti per decine di miliardi di euro. Macron poco più di un anno fa, riguardo la vendita di armi all’Egitto, ha dichiarato che “non condizionerò questioni di difesa e cooperazione economica a questi disaccordi”. I disaccordi di cui parlava Macron, i cui ministri presenziano ai nostri Consigli dei ministri dopo il Trattato del Quirinale, sono quelli sui diritti umani. Dal 2013 al 2017, stima Reuters, la Francia è stato il principale fornitore di armi dell’Egitto (non è cambiato molto dopo), spesso battendo la concorrenza italiana fuori gioco per la vicenda Regeni.
Se l’Italia decide di condizionare la difesa e la cooperazione all’accordo sui diritti umani nei confronti di tutti la sua posizione internazionale diventa immediatamente debolissima e facilmente attaccabile. La cooperazione economica e sulla difesa sono questioni vitali per uno stato soprattutto nell’attuale contesto internazionale.
L’Italia è parte in causa di un conflitto economico che è già “bestiale” e che si spera rimanga solo economico. Non si capisce, se conflitto deve essere, come possa sopravvivere un Paese uscito distrutto dal Covid e dai lockdown senza materie prime e senza nemmeno poter parlare con i suoi partner storici oppure con quelli con cui ci sono disaccordi sui diritti umani. Per esempio, ci chiediamo cosa dovrebbe dire l’Italia se un richiedente asilo italiano fosse rispedito dalla Gran Bretagna in Ruanda.
L’Eni, ovviamente, è una risorsa senza prezzo in questa fase. La transizione energetica, sempre ammesso che funzioni nei termini in cui viene presentata, richiede tantissimi soldi. Non si capisce dove dovrebbero arrivare se l’economia finisce KO. La variabile tempo, probabilmente non è chiaro, è una risorsa più scarsa del gas. L’idea di “fare la rivoluzione energetica” con un’ottica temporale di anni si scontra con una realtà che evolve alla velocità della luce.
L’Italia rischia di essere una preda facile a queste condizioni. Di questi tempi non si può essere nemmeno certi se di un Paese “amico” o “nemico”.
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