Sarebbe stata la chiusura di tutti i pozzi. Un po’ come avvenne oltre 30 anni fa, con il referendum sul nucleare in cui si decise di andare oltre la volontà del popolo italiano che si era espresso contro la costruzione di nuove centrali, spegnendo anche i reattori in funzione; questa volta usando il decreto legge Semplificazione si è tentato il blocco completo della produzione di gas e del suo indotto. Ma procediamo con ordine.



In un quadro economico nazionale agghiacciante in cui il Pil si contrae del -8,3% e l’occupazione perde oltre 2 milioni di posti di lavoro, uno dei quasi 3mila emendamenti al DL Semplificazione presentato al Senato rischiava di seppellire definitivamente l’attività di estrazione e produzione di idrocarburi nazionale con il bel risultato di provocare la dismissione della produzione industriale di un settore strategico per il Paese.



Secondo la ricostruzione in mano al Sussidiario, la proposta che rientrava nell’orientamento generale per restringere sempre di più il perimetro delle aree in cui sarà consentito esplorare e trivellare, si spingeva con un autolesionismo inspiegabile contro ogni ragionevolezza. A dare il colpo di grazia è l’articolo 60 prevedendo di estendere i divieti alle trivellazioni non solo nelle zone a “potenzialità limitata”, ma anche in presenza di permessi e concessioni già assegnati, quindi di fatto, cancellando dalla mappa delle aree idonee, anche quelle residue disponibili.



Sindacati e associazioni di categorie sono insorti costringendo il Governo a scendere in campo e bloccare l’emendamento prima della chiusura dei lavori del Senato. Ma la partita è tutt’altro che chiusa e il 24 agosto i lavori riprenderanno. Se l’emendamento fosse passato, si sarebbe bloccato anche quel poco di produzione di idrocarburi autoctona e avrebbe provocato 20mila esuberi nelle realtà di Ravenna, della Val D’Agri e di Gela. Non si tratta di rinnegare l’obiettivo la decarbonizzazione dell’economia italiana, ma piuttosto di accompagnare questa delicata fase di transizione, che non può prescindere dall’uso del gas comunque preferibile ad altre fonti fossili più inquinanti. Le politiche di sviluppo green attuabili e di lungo respiro non sono quelle che si fanno a colpi di proclami ideologici, né con l’impostazione anti-industrialistica di prammatica.

Infine, un’annotazione che mette a nudo la dicotomia di un Governo il cui braccio destro non sa che cosa fa il sinistro. C’è un ministro degli Esteri Luigi Di Maio che si reca in missione ufficiale in Cipro, Egitto e Turchia per tutelare gli interessi nazionali e difendere i campi estrattivi dell’Eni in quelle zone; mentre un’altra componente architetta emendamenti che affossano la sovranità energetica nazionale. Un caso da manuale di psicologia comportamentale.